Sono scesi in piazza nella giornata di sabato i famigliari delle vittime per covid di Bergamo. Vogliono sapere cosa è successo nel periodo marzo aprile 2020, quando la Lombardia venne falcidiata da numerosi decessi, ed in particolare proprio la bergamasca, dove si verificò quella che resta un’immagine indelebile della prima ondata, i carri militari che “sfilarono” per le vie della città carichi di bare. I famigliari delle vittime, in totale 520, hanno iniziato un class action contro il Ministero della Salute, Regione Lombardia e l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ma fino ad oggi non hanno ottenuto risposte, o meglio, quanto comunicato loro non li ha soddisfatti. «Oggi è un momento importante – ha detto l’avvocato Locati, che rappresenta appunto i famigliari delle vittime di Bergamo, così come si legge sul quotidiano La Verità – perché è una manifestazione organizzata dai familiari, per dare un segnale molto forte rispetto al fatto che non sono più disposti ad accettare spiegazioni che non sono tali, rispetto a ciò che è successo».



E ancora: «È una manifestazione che arriva dopo tutto ciò che è uscito sulla commissione d’inchiesta, che è diventata una farsa, con l’approvazione di due emendamenti abrogativi che hanno limitato l’indagine della commissione stessa al 30 gennaio 2020, cioè prima della dichiarazione dello stato d’emergenza, quando il primo caso in Italia ufficialmente riconosciuto si è avuto il 20 febbraio 2020 e, nella Bergamasca, il 22 febbraio. Non ci sarà quindi un’indagine parlamentare in Italia. E soprattutto, siamo a Bergamo, visto che i due emendamenti in questione vengono dai parlamentari bergamaschi».



FAMIGLIARI VITTIME COVID IN PIAZZA A BERGAMO: LETTARA APERTA CONTRO GORI

Come spiegato dallo stesso legale, la commissione d’inchiesta dovrà occuparsi solo di quanto accaduto prima del 30 gennaio 2020, tagliando di fatto fuori ciò che è accaduto in Italia, visto che lo stato di emergenza è stato dichiarato il giorno seguente nel Bel Paese.

I manifestanti hanno preso di mira anche il sindaco di Bergamo, Gori, «Un increscioso tentativo di insabbiamento con Gori che non si è fatto garante della nostra ricerca di verità – si legge in una lettera aperta sottoscritta dai rappresentanti delle famiglie (Paolo Casiraghi, Alessandra Raveane, Cassandra Locati e Antonella Dell’Aquila) – eppure fu proprio Gori a lasciarsi andare alla commemorazione dello scorso 18 marzo con espressioni come “Ciò che colpisce è che questi numeri sui decessi raddoppiano quelli delle vittime ufficialmente accertati”, “Sono morti nelle loro abitazioni o nelle case di riposo senza che fosse possibile fare loro un tampone, perché a marzo 2020 i tamponi erano pochi e bastavano appena per i casi più gravi”. Consapevolezze che, di fronte a tutti gli italiani, evidentemente non gli sono bastate per chiedere a Mario Draghi di farsi garante della verità». Secondo i manifestanti, il vero problema nella gestione dell’epidemia è stata la mancata zona rossa della Valseriana». In quel tremendo periodo ci sono stati ben 140mila morti a causa del covid.