Gentile Direttore,

le scrivo in merito all’articolo sulla famiglia al tempo del Covid vista dalle mamme, e a seguito di un collegamento via Zoom con alcune mamme protagoniste di questa iniziativa, che pone all’attenzione di tutti le difficoltà che le famiglie stanno affrontando, esasperate da questa pandemia.

Sono rimasta molto colpita dalla profondità e dalla verità delle parole contenute nella lettera e nel successivo scambio di opinioni che questa ha generato e trovo molto significativa la riflessione che dice: “Ma non sarà solo la risoluzione di questi aspetti contingenti che potrà rispondere a tutte le domande che sono scoppiate in noi in questo periodo (…) le nostre semplici mosse hanno generato delle donne più grandi e certe e sta già germogliando come contributo attorno a noi, e speriamo di poter coltivare tutto questo e di poter portar frutto”.



Oggi la politica deve ripartire dall’ascolto e dalle esigenze vere delle persone e, in questo caso, dalle problematiche delle famiglie. Prima di fare analisi o di proporre soluzioni teoriche, chi è impegnato in politica e nelle istituzioni, come me, è chiamato a guardare in faccia la realtà e imparare che, spesso, tentativi di risposta e soluzioni esistono già nella nostra società e chiedono solo di essere valorizzati.



Proprio a partire da questo approccio, nel tentativo di rispondere alla problematica delle lavoratrici madri e ai bisogni delle famiglie, in questi due anni alla presidenza del Consiglio per le Pari opportunità di Regione Lombardia, ho promosso due iniziative che ci terrei a condividere.

La prima è quella del Riconoscimento “Parità Virtuosa” che non esisteva in Lombardia e che, giunto quest’anno alla sua terza edizione, premia e valorizza le realtà lombarde tra aziende e associazioni di categoria che sostengono la genitorialità sul luogo di lavoro, attivando misure concrete come ad esempio progetti di associazioni rivolti alle aziende affinché possano vivere con maggiore beneficio e armonia la maternità delle proprie dipendenti, alle neomamme dipendenti per facilitare il rientro al lavoro e ai neopapà per accompagnarli verso il nuovo ruolo di padre.



L’idea nasce dal grave problema della perdita di lavoro di tante donne lavoratrici, aggravato oggi dalla pandemia. In Lombardia i dati delle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri raccontano la stessa triste condizione riscontrata dall’Ispettorato nazionale del lavoro: sono le donne a lasciare il proprio posto di lavoro e la maggior parte sono neo-mamme. La motivazione più frequente è l’impossibilità di conciliare la prole con la vita professionale. E non stupisce dal momento che solo il 21% delle richieste di part-time o flessibilità lavorativa, presentate da lavoratori con figli piccoli, è stato accolto. Nel 2020 su 444mila occupati in meno registrati in Italia, il 70% è costituito da donne (fonte Istat). A mio avviso serve urgentemente un cambio di passo per favorire una cultura diversa a favore delle famiglie, che possa testimoniare la maternità come vero valore sociale.

Di fronte a questo scenario desolante ho iniziato a dialogare e interrogare chi al contrario fosse virtuoso scoprendo una ricchezza di welfare tutta da condividere. Abbiamo verificato sul campo che le istituzioni devono imparare da queste realtà, aderendo al principio di sussidiarietà.

La seconda iniziativa è quella dei Baby Pit Stop in collaborazione con Unicef, ambienti riservati e accoglienti in cui le mamme si sentono a proprio agio per allattare il loro bambino e i genitori possono provvedere al cambio del pannolino, anche all’interno di strutture pubbliche. È uno sforzo economico limitato, ma che diventa un grande gesto di civiltà a favore delle famiglie con bimbi piccoli che spesso non hanno spazi di appoggio per le loro esigenze. Abbiamo già realizzato il Baby Pit Stop in Regione Lombardia e in alcuni comuni e istituzioni pubbliche e significative come la Villa Reale di Monza in un’ottica di città sempre più “Family friendly”.

Con queste iniziative, il messaggio vuole essere quello che la maternità non può e non deve essere un problema. Il nostro Paese è fanalino di coda in Europa in termini di natalità e di occupazione femminile.

Condivido con lei un aspetto interessante emerso dal rapporto pubblicato a marzo dal nostro Consiglio regionale sulle esigenze dei giovani lombardi tra i 18 e i 34 anni. La ricerca evidenza che in questo momento di incertezza la maggior parte del campione vorrebbe avere tra 2 e 3 figli nel futuro per un totale di 3 giovani su 4 (73%). A testimonianza che il desiderio dell’uomo è grande.

Don Giussani diceva che “la politica in quanto forma più compiuta di cultura non può che avere come preoccupazione fondamentale l’uomo. E l’uomo che cos’è se non senso religioso, se non desiderio di felicità e di infinito?”. Questo è il compito della politica e quello della mia vita. Guardo l’altro e capisco che, in qualunque modo questo si manifesta, ha nel cuore la stessa cosa che ho nel cuore io, in termini di desiderio. Se fossimo capaci di guardarci così, qualcosa cambierebbe. In ogni punto della società in cui qualcuno riesce a portare una testimonianza di questo tipo può cominciare un nuovo mondo dentro questo mondo. La società ha bisogno di questo tipo di testimonianza che almeno tentativamente uno guardi all’altro sapendo che ha nel cuore lo stesso desiderio che ho io.

Per questo la testimonianza di queste mamme mi ha arricchito e confermo la mia disponibilità a lavorare insieme, prima di tutto per una compagnia umana e poi per individuare possibili risposte alle problematiche che sono state giustamente sollevate.