“Un miracolo che brilla”. Luca Sommacal, presidente dell’associazione Famiglie per l’accoglienza, sposato con Gabriella, due figli (Matteo, 19 anni, adottato, e Miriam, 14 anni), distilla con una pennellata tutta la bellezza, pur dentro la fatica di un cammino, che racchiude l’esperienza dell’accoglienza famigliare. Soprattutto in questi tempi bui del Covid, “in un frangente in cui tutto sembra portare a considerare l’altro un antagonista, un nemico, abbiamo scoperto che l’altro è apparso nella nostra vita come una grande sorpresa: qualcuno che inaspettatamente ci ha aiutato a vivere, a stare davanti alle circostanze più decisamente e serenamente. Nel momento in cui l’altro viene guardato come un compagno, abbiamo scoperto come il buon Dio ci accompagna e sostiene anche in un momento così difficile”.
Sommacal guida dal 2019 Famiglie per l’Accoglienza, una rete di famiglie – nata 39 anni fa a Milano – che si accompagnano nell’esperienza dell’accoglienza famigliare e la propongono come un bene per la persona e per la società intera. Oggi conta più di 3.200 soci in Italia e sedi in diversi Paesi del mondo. “In tutti questi anni – ricorda Sommacal – le nostre famiglie hanno accolto migliaia di minori in adozione e altrettanti in affido. Abbiamo supportato decine di famiglie con figli disabili. Molti sono stati gli adulti in difficoltà ospitati per periodi più o meno lunghi nelle nostre case. E ultimamente abbiamo vissuto diverse esperienze di ospitalità di giovani migranti o di minori profughi provenienti da situazioni di guerra”.
Quando e perché è nata Famiglie per l’Accoglienza?
E’ nata nel 1982 a Milano dall’iniziativa di alcune famiglie che già vivevano l’esperienza dell’accoglienza famigliare e che, in occasione di un bando promosso dal Comune, si sono associate. Da lì è iniziata una storia e una compagnia tra famiglie, con il desiderio di approfondire le ragioni di ciò che l’esperienza di accoglienza, una strada bella e affascinante, faceva scoprire. Pian piano quel seme si è diffuso, per un fascino da famiglia a famiglia, in tutta Italia e oggi in diverse parti del mondo: Spagna, Svizzera, Romania, Lituania, Regno Unito, Francia, Brasile, Argentina e Stati Uniti.
Che frutti hanno generato questi primi 39 anni di attività?
Innanzitutto, una rete di famiglie che si sostengono nella vita di tutti i giorni. E Famiglie per l’Accoglienza è diventata anche una realtà sociale: partecipiamo, per esempio, al Forum delle associazioni familiari e lavoriamo con altre realtà associative, cercando di sostenere come corpo intermedio l’esperienza dell’accoglienza famigliare anche sui tavoli di dialogo con le istituzioni.
Oggi quali sono le aree di esperienza in cui opera Famiglie per l’Accoglienza?
Affido e adozione in primo luogo, ma nel tempo si sono avvicinate altre iniziative: un’associazione di genitori che hanno figli con disabilità; l’accoglienza in famiglia di adulti o minori bisognosi di un esperienza in un ambito famigliare oppure più recentemente, durante il periodo estivo, di bambini provenienti da famiglie profughe dell’Ucraina, sfollate dalle zone di guerra; un progetto molto sfidante, in collaborazione con Farsi Prossimo, Avsi e il Comune di Milano, di accoglienza famigliare per periodi di sei mesi, con inserimento lavorativo, di migranti neomaggiorenni provenienti dall’Africa Sub-sahariana. E negli ultimi anni sono nate 15 case famiglia, dove si accolgono più minori secondo le normative regionali, oggi raggruppate nell’associazione Dimore per l’Accoglienza. Tutte esperienze che hanno fatto nascere legami molto forti.
Lei come ha incontrato Famiglie per l’Accoglienza?
Ho conosciuto, quasi per caso, Famiglie per l’Accoglienza vent’anni fa, poco prima che arrivasse mio figlio Matteo. Hanno accompagnato me e mia moglie nella decisione di adottare un bambino e nel percorso che poi abbiamo intrapreso con l’adozione.
Cosa le ha insegnato questa esperienza?
Due aspetti sinteticamente significativi. La prima: ci si accorge di come i nostri figli siano un grande dono. Non è un fatto scontato, e lo si capisce soprattutto quando si fa fatica ad averli. Più li vedi diventar grandi e più diventa magnifico il riverbero del mistero infinito che sono e che non si può mai afferrare fino in fondo. Un riverbero che ti fa guardare tutte le altre persone che incontri con lo stesso sguardo.
E il secondo?
L’esperienza di accoglienza famigliare, come la vita in generale, è più faticosa se viene vissuta da soli. Accompagnata e sorretta in una prossimità e in un cammino comune quest’avventura diventa sempre più affascinante. E questo fa capire quanto ogni famiglia abbia bisogno di essere accompagnata e sostenuta.
Sostegno e accompagnamento sono due verbi che ricorrono spesso. Come si esprime l’aiuto concreto e l’accompagnamento di Famiglie per l’Accoglienza?
Incrociamo le famiglie in diversi momenti lungo la strada che li porta ad accettare un’esperienza di accoglienza. All’inizio, quando iniziano a pensare all’ipotesi dell’adozione: li affianchiamo in un piccolo percorso per aiutarli a maturare questa decisione, perché l’adozione non è il palliativo per risolvere il problema che non si possono avere figli, ma è guardare la strada che ti è data dalle circostanze che stanno capitando. Così facciamo anche con le famiglie che pensano all’affido o all’accoglienza dei migranti.
E durante l’esperienza dell’accoglienza?
Proponiamo momenti di convivenza, per camminare insieme, dialogare, condividere dubbi, domande, esperienze. Il sostegno poi si dettaglia negli aspetti pratici, dall’aiuto degli assistenti sociali messi a disposizione dall’associazione per aiutare le famiglie a dialogare con gli enti alle figure professionali – psicologi, educatori, tutor per la scuola… – che intervengono in situazioni specifiche di criticità, sui minori e sulla famiglia. Sono servizi molto utili, in alcuni casi gratuiti e autofinanziati dall’associazione, in altri proposti a prezzi calmierati.
Siete riusciti a garantire accompagnamento e servizi anche in questi tempi difficili di Covid?
Non ci siamo certo fermati e abbiamo immaginato nuove forme di sostegno.
Per esempio?
Abbiamo utilizzato la tecnologia, sostituendo i momenti in presenza con i collegamenti via internet. E’ stato un aiuto importante per non far sentire le famiglie sole. Noi ogni inizio d’anno organizziamo un pellegrinaggio in tutti i posti del mondo dove siamo presenti. Essendo impossibile farlo, abbiamo allora proposto al vescovo di Milano la recita del rosario in videocollegamento: hanno partecipato quasi un milione e mezzo di persone. Non solo: diversi nostri professionisti, attraverso piattaforme di videoconferenza, hanno aiutato le nostre famiglie gratuitamente attraverso incontri programmati. E poi c’è la trama preziosa e viva della compagnia quotidiana tra le famiglie stesse che è rimasta anche in questo periodo difficile.
Viviamo in un mondo in cui l’altro è considerato spesso obiezione, ostacolo, problema. Cosa significa oggi accogliere?
Il momento particolare che stiamo vivendo è ambivalente. Da un lato, c’è il forte rischio che l’altro venga percepito come un pericolo e il Covid non fa altro che amplificare questa paura che era già presente. Dall’altro, però, proprio la pandemia ci ha fatto riscoprire l’altro come prezioso per la vita di ciascuno, se lo vediamo come un aiuto a star di fronte a difficoltà anche drammatiche. Ed è così che nel periodo in cui l’altro viene guardato come un compagno, abbiamo scoperto come il buon Dio ci accompagna e sostiene anche in un momento così difficile. Non a caso quest’anno abbiamo messo a tema per il lavoro della nostra Associazione questa frase: “Tu sorpresa alla mia vita. Nell’accoglienza l’audacia di un incontro”.
Sorpresa e audacia, perché?
Nell’accogliere la sorpresa di questo “tu” che arricchisce la vita si diventa più audaci: si affronta questo momento così sfidante con una baldanza, una sicurezza maggiore, tanto che si inventano iniziative nuove. Paradossalmente, quest’anno di restrizioni e lockdown è stato quello in cui più siamo usciti in assoluto dai nostri confini, aprendoci a molte altre realtà.
Don Giussani parlava di “miracolo dell’ospitalità”. Perché è un miracolo?
L’ospitalità è un miracolo perché lo spunto iniziale non è qualcosa che andiamo a cercare noi, che ci diamo noi, ma ci troviamo addosso: riconoscere un’apertura a un’altra vita che entra pienamente nella mia. Allo stesso tempo è un miracolo ciò che da questo spunto nasce: accogliere un altro e il cambiamento di sé che da questa esperienza fiorisce. Nell’incontro con un tu si scopre che il buon Dio ci viene incontro. E questo cambia la consapevolezza di sé e del rapporto con tutti gli altri: un miracolo, come appunto ricordava don Giussani, che brilla nella vita, come umanità, come gusto, anche dentro la fatica che l’accoglienza richiede.
Lei più di una volta ha sottolineato che l’accoglienza “è la bellezza di un cammino”. Che cosa significa?
Innanzitutto bisogna intendersi su cosa significhi bellezza. Siamo soliti pensare che sia bella un’esperienza quando è facile, non costa fatica, si procede in discesa. Ma sappiamo benissimo che quando si va in montagna la bellezza è un cammino in salita che porta in cima dove si gode un panorama magnifico. L’esperienza della bellezza non è solo arrivare in cima, ma anche nel camminare. Stare di fronte ai nostri figli accolti, di fronte al carico dei loro drammi “obbliga” a un cammino. Tutte le volte bisogna sempre mettersi in gioco, in discussione, facendo un passo dopo l’altro, guadagnando ogni giorno un po’ più di consapevolezza. Ed è bello perché l’accompagnarsi in questo cammino fa assaporare di più la profondità di ciò che si vive. Da soli non saremmo capaci di coglierne tutte le sfumature.
Nell’accoglienza e nell’affido, però, le famiglie sono segnate tanto dall’esperienza della sofferenza: storie difficili, di abbandoni e di ferite, di vuoto e di diversità. Come la rabbia, la delusione, la vertigine di domanda che questi ragazzi spesso portano dentro di sé interpellano gli adulti?
La parola vertigine è decisiva nell’esperienza dell’accoglienza. La vertigine è star di fronte a un abisso incolmabile che è il bisogno dell’altro che accogli e che si esprime nell’esperienza del dolore dei nostri figli, che vivono una ferita insanabile e che noi, con tutto il bene che vogliamo loro, non potremo mai colmare. Questo mette chiunque di fronte alla vertigine che è la vita di tutti, con il nostro desiderio infinito che da solo non riesco a soddisfare. L’accoglienza è bella perché mette di fronte a questo mistero che è di tutti. E’ come restare affascinato da un’opera d’arte che lascia senza fiato.
Come si può stare davanti a questo senso di vertigine ogni giorno e tutti i giorni senza esserne schiacciati?
Vivere questa esperienza non toglie dubbi, fatiche e paure, anzi li amplifica. Ma non si resta schiacciati, perché di fronte a questa realtà che accade siamo accompagnati: so che c’è qualcuno al mio fianco, qualcuno da guardare. E proprio attraverso questo sostegno si capisce che c’è un disegno buono per ciascuno e nessuno è definito dal male che può fare, dalla ferita che può avere. I nostri figli sono molto di più di questa ferita: devo guardarla, non posso risolverla, rimane un punto di verità ineliminabile, ma loro sono molto di più.
Come si sostiene e come si può aiutare economicamente un’associazione come Famiglie per l’Accoglienza?
Un’esperienza come la nostra si può sostenere, nel concreto, in diversi modi: coinvolgendosi con i momenti che proponiamo; iscrivendosi; decidendo di devolvere il proprio 5 per mille con la dichiarazione dei redditi; effettuando donazioni anche sul nostro sito o attraverso le attività di raccolta fondi. I soldi che raccogliamo servono esclusivamente per sostenere le attività che abbiamo descritto e per aiutare, con un fondo di solidarietà, le famiglie che vivono particolari momenti di difficoltà.
Secondo lei, quanto la famiglia, l’adozione e l’affido sono al centro dell’attenzione della classe politica?
Nell’ultimo periodo è cresciuto l’interesse, dettato forse dal fatto che il Covid ci ha costretto a vivere di più in famiglia. E’ importante supportare la famiglia, che sempre più, specie in questo anno di pandemia, si dimostra il punto più solido di tenuta del nostro popolo: senza le famiglie sarebbe stato molto peggio. Ora si tratta di declinare questa maggiore sensibilità in strumenti concreti, come l’assegno unico universale, e la sfida è avere il coraggio di destinare le risorse necessarie, dimostrando che il riconoscimento del ruolo della famiglia non è di facciata, ma effettivo.
(Marco Biscella)
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