La prossima settimana potrebbe arrivare alla discussione in Aula alla Camera il nuovo testo della Legge delega per l’istituzione dell’assegno unico per i figli, parte integrante – e irrinunciabile, per dirla tutta – del disegno organico tratteggiato dal Family Act (provvedimento di riordino delle politiche familiari approvato dal governo a metà giugno). Diversi sono i punti meritevoli di attenzione, su questa vicenda, che vale la pena di sottolineare.



In primo luogo, in positivo, sembra finalmente approssimarsi un passaggio cruciale, in cui alle promesse elettorali e programmatiche potrebbero arrivare finalmente fatti concreti.

A settembre 2019, all’insediamento del ministro Elena Bonetti nel nuovo Governo giallo-rosso, il tema dell’assegno unico e del sostegno alle famiglie era uno dei punti sottoscritti nel programma di governo Pd-M5s, ma questo non poteva certo essere considerato sufficiente. La sfida era quella di “portare la famiglia ai primi punti dell’Agenda del Paese”; bisogna dare atto soprattutto al ministro Bonetti, a Graziano Del Rio e a Stefano Lepri (relatore in commissione del disegno di legge) di aver ottenuto un rilevante risultato politico, da molti promesso, da pochi ottenuto.



Sta accadendo il contrario di quello che è successo al Piano nazionale per la famiglia nel passaggio dalla Conferenza nazionale di Milano del 2010 fino all’approvazione a giugno 2012: la proposta di Piano 2010 (sottosegretario Giovanardi) proponeva come parte essenziale una riforma della fiscalità familiare (con Fattore Famiglia o altre soluzioni), ma nel Piano approvato a giugno 2012 (ministro Riccardi) l’intero punto era stato semplicemente – e integralmente – cancellato. Speriamo che stavolta questa “inversione di priorità” vada a buon fine.

Un altro punto positivo è una certa “flessibilità” del testo di riferimento, nel senso che a seguire le cronache parlamentari e i verbali delle commissioni di volta in volta investite del tema, sembra che su questa misura si stia sorprendentemente coagulando un accordo e un orientamento bipartisan, in cui maggioranza e opposizione, anziché paralizzarsi con veti incrociati, sembrano sinceramente intenzionati a dialogare, accettare emendamenti, correzioni, nuove formulazioni. Questa “arrendevolezza” del testo è una caratteristica ambivalente: da un lato, potrebbe sfumare gli obiettivi e indebolire la coerenza interna delle misure da adottare; d’altro canto – e molto più importante – la misura potrebbe alla fine arrivare in Aula con un consenso già consolidato, e quindi con qualche probabilità in più di arrivare a buon fine.



In generale, poi, l’assegno unico è misura semplice, comprensibile, strutturale e potenzialmente universalistica; tutte caratteristiche che qualificano le buone politiche familiari, uscendo finalmente dalla logica dell’una tantum, del bonus, del provvedimento selettivo per target circoscritti – che purtroppo finora hanno reso sempre più frammentato e precario lo scenario del sostegno economico alle famiglie con figli.

Qualche problema potrebbe comunque esserci, proprio in forza dello stato del dibattito, e conviene non nasconderlo sotto il tappeto. In primo luogo, la versione del testo che dovrebbe andare in aula ad oggi non contiene nessun numero, nemmeno l’indicazione del valore minimo dell’assegno. Questo ovviamente rende l’affidabilità delle misure abbastanza incerta. In effetti, l’assegno dovrebbe configurarsi con una parte fissa, tendenzialmente uguale per tutti, e una variabile, secondo il livello di reddito, il numero di figli, la presenza di disabilità eccetera. Se però questa cifra fissa è minima/simbolica, e la progressività/selettività risulteranno troppo spinte, ovviamente la natura universalistica dell’assegno risulterà decisamente indebolita.

La cifra di riferimento finora ricordata è di 240 euro al mese per figlio, certamente soddisfacente, anche se confrontata con le stime sul costo dei figli. Il Rapporto Cisf 2009, ad esempio, aveva misurato un “costo minimo di mantenimento” (le sole spese essenziali) di 300 euro mensili per figlio. Coperte solo parzialmente, ma in misura consistente, dall’ipotetico nuovo assegno. L’assegno finale che verrà approvato riuscirà a essere su questo ordine di grandezza per un numero consistente di famiglie? E se con gradualità, con quali scadenze?

Il principale motivo (riportato dai proponenti stessi) per cui attualmente non si possono scrivere cifre nel testo della norma rimanda alla non disponibilità, ad oggi, dei fondi necessari, e quindi alla “certezza” di una bocciatura da parte della Conte dei conti (mancata copertura). Il tema è decisivo, e prima o poi si dovrà fare chiarezza su questo. La stima del costo complessivo di questo intervento, così come si verrebbe a configurare, si aggira intorno ai 22 miliardi (ma altre stime parlano di quasi 30 miliardi), cifra che ha sempre scoraggiato qualunque proposta in merito.

In effetti 15 miliardi sarebbero già recuperabili dalla riorganizzazione dell’intero sistema di interventi economici per la famiglia, dagli assegni al nucleo familiare per i lavoratori dipendenti fino ad arrivare ai vari bonus bebè, natalità, babysitter eccetera, oggi disponibili. E questo è uno dei punti cruciali: servirà un azzeramento di tutto ciò che oggi le famiglie ricevono, per restituire loro un sostegno in modo più organico, certo ed equo.

La complessità di questa operazione non sfugge agli occhi degli osservatori più esperti, anche perché inserire la “clausola di salvaguardia” sembra facile in via di principio, ma in concreto poi non è così semplice. Secondo la clausola di salvaguardia, infatti, nessuna famiglia dovrebbe ricevere un livello di sostegno inferiore a quello attuale. Ma se già oggi alcuni ricevono un livello elevato di sostegno, mentre altri non ricevono nulla, sarà molto difficile mantenere basso il costo complessivo della misura e insieme dare pari opportunità a tutti senza in qualche modo “appiattire” le prestazioni ai danni di qualcuno: non impossibile, teoricamente, ma tutto da verificare.

Questo riordino andrebbe poi costruito entro il 30 novembre 2020 (secondo il Family Act), per poter poi avviare una qualche forma di assegno unico dal 1° gennaio 2021: scadenze a dir poco “ottimistiche”, vista la situazione complessiva e la tradizionale “resistenza inerziale” di regole, procedure, burocrazie e regolamenti nel nostro Paese. Ma saremo ben lieti di essere smentiti, il 1° dicembre, e ancora di più dal 2 gennaio 2021.

Insomma, il Family Act potrebbe finalmente scrivere la storia, per le politiche familiari del nostro Paese, soprattutto attraverso l’istituzione dell’assegno unico per i figli. Ma questo succederà solo quando i princìpi verranno accoppiati a tempi certi, procedure snelle e funzionali, e soprattutto a certezze normative sul valore mensile dell’assegno e sul budget complessivo disponibile.

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