La caduta del Governo è scongiurata; il primo piromane, Giuseppe Conte, ha solo gettato un po’ d’acqua sul fuoco. Non molta, tanta da placare le fiamme, ma lasciando viva la brace. Questa settimana ci saranno altri appuntamenti importanti come il decreto aiuti: domani si vota alla Camera il provvedimento, i grillini che stanno con Conte giovedì hanno dato la fiducia, ma nel merito prenderanno le distanze, probabilmente uscendo dall’aula. Al Senato dal 16 luglio si vedrà, la partita è apertissima perché in quel caso il voto è unico: se passa la fiducia passa anche in toto il decreto. “Sono in molti a chiederci se e quando ci sarà il Draghicidio – ha scritto Beppe Grillo -. Sarebbe ormai soltanto questione di tempo, o meglio, di aula parlamentare. Perché sono in molti a scommettere che se Draghicidio dovrà essere sarà al Senato”. Il M5s è in piena guerriglia parlamentare e non sembra intenzionato a finirla. Si è creato così il classico paradosso del perdente: chi è con le spalle al muro diventa più pericoloso perché la disperazione lo spinge a fare mosse sconsiderate. Vale la pena continuare? Quanto può durare il piccolo cabotaggio? La tattica delle concessioni minori non finisce per intaccare anche la sostanza della politica di governo?
Nel circo mediatico-politico sono aperte le scommesse. I più pensano che si andrà avanti fino alla Legge di bilancio, quando si porrà l’alternativa se stringere i denti fino alle elezioni della prossima primavera o far saltare tutto in anticipo. Alcuni ritengono che il Governo possa continuare anche senza i 5 Stelle, anzi sarebbe una scelta utile, liberandosi di tanta zavorra confusa ancor prima che populista. Il presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, in un’intervista alla Repubblica è stato molto netto: “Siamo con Draghi”, ha dichiarato e a ha aggiunto: siamo con gli Usa, siamo con l’Ucraina. A suo parere la Lega è compatta su questa linea, anche se ogni giorno assistiamo a strappi di chi ha voglia di prepararsi alle elezioni con le mani libere e questa sembra essere la posizione di Matteo Salvini.
La finanziaria, dunque, sarà l’arena di una sfida a tre con Conte e Salvini che tirano Draghi in direzioni opposte. Enrico Letta resta in panchina, il Pd deve sostenere il Governo, ma nemmeno lui si può presentare alle elezioni come un gregario portatore d’acqua. Non saranno la cannabis e nemmeno il più importante jus scholae a fare la differenza. Il risultato può essere molto facilmente la fine dell’attuale maggioranza e, quindi, la caduta del Governo in autunno.
A quel punto non resta che anticipare le elezioni sia pur di poco, con Draghi che gestisce la normale amministrazione. In pratica significa che non si potrà governare, non si potranno prendere decisioni consistenti durante un inverno che si presenta già pieno di pericoli. Non siamo sicuri se ci sarà gas a sufficienza per evitare il razionamento. Non sappiamo se la guerra in Ucraina richiederà decisioni ancor più pesanti, anzi drammatiche. La realizzazione del Pnrr diventerà incerta proprio quando bisogna far lavorare i cantieri. Quanto al bilancio pubblico, con questi chiari di luna non potrà aumentare ancora il “debito cattivo”. Draghi sta già diventando un’anatra zoppa, a quel punto sarebbe un pollo allo spiedo, commenta un analista irriverente. Quindi, il capo del Governo potrebbe rompere gli indugi e dichiarare che così non può andare avanti. Le sue dimissioni metterebbero tutti i partiti di fronte alle proprie responsabilità.
Che cosa farebbe Mattarella? Prima di sciogliere le Camere dovrebbe esplorare se esiste una maggioranza per sostenere un nuovo Governo Draghi in carica con tutti i poteri fino alla scadenza naturale della legislatura. Un “gabinetto di tregua” che prepari le elezioni politiche, ma non depotenziato, in grado di governare pienamente. Se ha ragione Fedriga, la Lega potrebbe appoggiarlo, insieme a Forza Italia, il Pd, i centristi e i grillini che sostengono Di Maio. Conte e la sua pattuglia starebbero fuori con Fratelli d’Italia? Sarebbe il colpo di grazia, su una linea di populismo oltranzista Alessandro Di Battista ha già occupato lo spazio e Virginia Raggi lo sta seguendo.
Draghi dunque non si farebbe logorare come Boris Johnson (con tutte le differenze possibili, personali e politiche, tra i due), però potrebbe fare come BoJo mettendo un’ipoteca sul prossimo futuro. Un Draghi due dopo le elezioni non sembra probabile, ma se, come mostrano tutti i sondaggi, dalle urne non uscirà nessuna chiara maggioranza, allora il “modello Draghi” sarebbe l’unica soluzione, ancora una volta con Mattarella garante istituzionale e Supermario garante programmatico. Alla guida potrebbe esserci un politico e non un tecnico (anche se sarebbe molto difficile trovare un sostegno trasversale per un capo di partito) sostenuto da una coalizione più omogenea, dopo il “taglio delle ali”.
Sono scenari, giochi da tavolo in una rovente domenica d’estate. Ma già da domani potrebbero diventare molto meno astratti.
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