Le dichiarazioni dell’amministratore delegato di Basf, la maggiore società chimica d’Europa e del mondo, ieri hanno fatto il giro dei principali organi di informazione finanziaria. Secondo il manager, staccare il gas russo metterebbe in dubbio la sopravvivenza delle società medio-piccole e probabilmente causerebbe in Germania la “peggiore crisi economica” dalla fine della Seconda guerra mondiale; una crisi che “distruggerebbe la nostra prosperità”.
Non è usuale che un amministratore delegato si lasci andare a queste dichiarazioni in pubblico, tanto meno se è alla guida di un gigante della chimica. Forse il punto di osservazione di un settore che è alla base della nostra civiltà industriale, la chimica degli idrocarburi, consente di comprendere appieno la portata della crisi: che va molto oltre sia il “riscaldamento”, sia la bolletta elettrica, visto che con il gas e il petrolio si fanno la plastica, i fertilizzanti e una quantità di altri beni che finiscono nei prodotti che usiamo tutti i giorni. La “chimica verde” attualmente è poco più di un sogno. A proposito di isolamento sul gas, ieri il ministro delle Finanze indiano ha dichiarato che “metterei al primo posto l’interesse del mio Paese e la sua sicurezza energetica. Se il petrolio è disponibile a sconto perché non dovrei comprarlo?”.
Questo è il capitolo del gas, ma ci sono altri capitoli che si stanno aprendo. La Russia, infatti, parrebbe intenzionata a estendere l’obbligo di acquistare in rubli sia al petrolio che, soprattutto, al grano. La Russia è il primo esportatore di grano al mondo, l’Ucraina soprattutto nella parte sudorientale è il quinto e il Kazakistan il nono. La partita in gioco è complicata perché l’Europa dovrebbe svincolarsi dal gas russo, non si capisce come, e magari, se i rapporti dovessero peggiorare, anche dal petrolio e dal grano russo. Dovrebbe cercare alternative in un mondo che cerca alternative in una fase che mette sotto pressione le economie e, soprattutto, le società.
La Russia occupa un sesto delle terre emerse e al denominatore ci sono anche terre che non hanno risorse energetiche o che non sono coltivabili. Se, improvvisamente, la Russia e i suoi partner venissero staccati dai commerci internazionali, o un numero importante di Stati decidesse di sospendere i rapporti commerciali, si porrebbe un problema insolubile, a meno di ipotizzare colonie su Marte. Quando l’Europa dice di voler cercare alternative in realtà quello che si dice dovrebbe essere contestualizzato, perché qualcuno per forza rimane senza sedia. L’Europa, dall’alto del suo Pil e dei suoi rapporti, può recuperare sì le risorse, ma in un gioco in cui comunque alla fine qualcuno rimane senza, perché in un orizzonte temporale di breve-medio periodo le risorse sono “finite”, non infinite; sospettiamo che anche nel lungo periodo l’equazione non cambi.
Ieri Bayer, che soprattutto dopo l’acquisizione di Monsanto (sementi ma non solo) è uno dei leader globali nei prodotti per l’agricoltura, ha sponsorizzato un “contenuto” pubblicato sul Financial Times. In questo “contenuto” si legge che “dopo l’invasione più di 500 milioni di persone potrebbero dover affrontare un’emergenza alimentare (“acute hunger” nell’originale è più evocativo). In un gioco a somma zero e in un globo di “risorse finite” queste 500 milioni di persone, se l’Europa riesce a risolvere il suo problema, sono principalmente nell’Africa mediterranea, che dipende dalla Russia per il grano, e nell’Africa subsahariana. Ci domandiamo come l’Europa pensi di risolvere il suo problema energetico andando a bussare alle porte di Paesi con gli operai con la pancia vuota. Ci domandiamo anche che tipo di intransigenza questi Paesi possano avere nei confronti di chi vende il pane.
L’unico esito possibile, l’unica scommessa che razionalmente sembra si stia facendo, in una situazione in cui, palesemente, non si può sostituire la Russia, è un “regime change” che reimmetta la Russia e le sue risorse nel circuito internazionale. Se il “regime change” non avviene allora delle due l’una: o una parte del mondo fa la fame nera, con tutte le conseguenze sociali e politiche, oppure si prova a reimmettere quelle terre nel circuito “internazionale” con le armi. Con il piccolo dettaglio delle 6mila bombe nucleari.
La volontà di trovare un accordo dovrebbe essere incrollabile e, si presume, i desideri di tutti dovrebbero essere tenuti in considerazione. Compresi quelli di chi, ipocritamente o meno, vorrebbe evitare di morire di fame.
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