Ieri sera sul lungo mare di Rimini scorrevano frotte di ragazzini su monopattini silenziosissimi e monocicli elettrici, illuminati con led variopinti, tra selfie e videochiamate, forse per parlare a qualcuno a pochi metri di distanza, o dall’altra parte del pianeta. Tutto normale, ma chi si sarebbe immaginato questa scena solo qualche decennio fa? Il mondo ha preso a cambiare sotto i nostri occhi in progressione accelerata, forse addirittura esponenziale (che è sinonimo di esplosiva). Oggi più che mai il futuro non lo sappiamo prevedere, sfugge alle più sofisticate estrapolazioni.



Poi entri in un ristorante, sempre sul lungomare, e trovi tutti bardati con mascherine e guanti, e ti spiegano che è per via di un virus che si è scatenato su tutto il pianeta infettando milioni di persone e paralizzando l’economia globale… Questo sì che è un film di fantascienza!

Molto si gioca dell’avventura umana in quel breve tratto che separa ciò che oggi abbiamo davanti agli occhi da ciò che potrebbe accadere domani; tra il mondo che conosciamo e quello che potremmo trovarci a vivere nel futuro. Su quel terreno di confine la nostra immaginazione e la nostra intelligenza danno il meglio di sé – nella letteratura, nella ricerca, nell’arte, nella progettazione – costantemente alla ricerca di nuove possibilità, di alternative, di innovazione. La categoria della possibilità è, del resto, la suprema categoria della ragione in tutte le sue flessioni.



In questo senso, sia la scienza che la fantascienza hanno le proprie radici in quel terreno di confine. La prima, alla ricerca di una conoscenza verificabile, di una comprensione del mondo fisico che continuamente tende a superare il “già noto”. La seconda, lasciando campo libero all’intuizione creativa per sviluppare storie che abbiano qualcosa di interessante da dirci. Non è un caso che difficilmente si troverà uno scienziato che non subisca il fascino della buona fantascienza, o uno scrittore di fantascienza che non abbia grande interesse al contesto scientifico.

Ma il valore principale della fantascienza non sta innanzitutto nelle sue capacità di anticipare il futuro, quasi fosse mestiere da indovini. Piuttosto mi pare che il privilegio e la forza di quel genere letterario  – da Jules Verne a Isaac Asimov – stia nel suo dichiararsi svincolato dai limiti ciò che è possibile, nell’oggi e magari anche nel domani; il che consente di proporre vicende che spingono alla radice alcune grandi questioni esistenziali, quasi estremizzandole, questioni che toccano la nostra identità, il nostro destino, il senso del pericolo, dell’ignoto, della diversità, della libertà, dell’essere uomini. Tant’è vero che la buona fantascienza non invecchia.



La sfida verso l’ignoto di 2001 Odissea nello spazio, o il desiderio di vivere del replicante in Blade Runner rimangono dopo tanti anni struggenti provocazioni alla nostra condizione umana, indipendentemente da quanto si siano realizzate o meno quelle presunte tecnologie da allora a oggi. Così la fantascienza, invitandoci a entrare in mondi ipotetici o immaginari, può arrivare a toccare in profondità il nostro realissimo presente.