Bologna la grassa, Bologna la rossa. Ma c’è un rosso che infiamma, e incendia, un rosso che uccide. Rosso era il corteo antagonista (a chi, a cosa, perché non è mai chiaro. A tutto, sempre e comunque) che gridava contro la Premier prossimamente in visita in città per inaugurare il Tecnopolo, “non è la benvenuta”. Manco loro sono ben accetti, i collettivi sfasciatutto e capaci solo di imprecare, manco alla luna. Rosso, dicono con orgoglio, il corteo che ha appeso a testa in giù un manichino del presidente del Consiglio in divisa militare, con il solito stantio offensivo riferimento al Mussolini di piazzale Loreto. Una delle pagine più indegne della nostra storia, vergognosa in un Paese civile.



Solidarietà doverosa, dai colleghi di partito e per fortuna di tutto l’arco parlamentare. Però. Dal giorno delle elezioni nazionali l’attacco contro il Governo e chi lo presiede è stato violento, più violento che in altre circostanze, e con maggior astio e foga e recupero di una retorica che avevamo accantonato nei cupi e pericolosi anni ’70. Le parole degli “onorevoli” dell’opposizione che affermano coram populo e istituzioni europee che la Meloni fa male all’Italia, non aiutano certo un clima sereno. Continuare stupidamente a calcare la mano su un inesistente passato fascista di chi ha oggi 45 anni non aiuta un clima sereno. Dire che non è idonea a governare, sibilato da chi è stato paracadutato due volte al Governo da un suo allievo d’università, prima a destra poi a sinistra, non aiuta un clima sereno. Come non lo aiutano le acide e livorose colleghe parlamentari, con gran solidarietà femminile, alla Boldrini, insomma. E le Sardine, che già a fine estate invitavano a creare presidi dal basso contro il futuro Governo. E Guccini che cantava Bella ciao invocando un partigiano che li portasse via… E l’Anpi (un solo partigiano vero e vivo, c’è ancora?) che commenda il mancato riferimento nella giornata del Muro di Berlino all’orrore del nazifascismo.



Siamo alle solite. Se evochi barricate, o narrazioni di lotta armata, se si  pensa  di essere i soli atti a guidare il Paese, in nome di una superiorità intellettuale morale e politica che chissà chi ti accredita, dato che non è il voto dei cittadini, quale stupore se i fanatici e nostalgici di un’ideologia morta e pur capace ancora nei suoi eredi di uccidere la libertà si scatenano nelle piazze gridando all’usurpatore?

Attenzione, ridurre questo gesto, come quelli contro il Presidente del Senato, come le stelle a cinque punte che spuntano sui muri, a pura stupidità ed esaltazione individuale, è un grave errore. I compagni che sbagliano, tollerati  e usati al bisogno, hanno presto imbracciato la p38. E allora non ce n’è per nessuno.



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