Andrea Carfì, capo della ricerca in Moderna, l’azienda farmaceutica che ha prodotto uno dei vaccini anti-Covid attualmente in uso in Italia, è intervenuto in collegamento ai microfoni di “Tagadà”, trasmissione in onda su La 7, sull’argomento vaccinazioni, rispondendo a un quesito preciso: per quanto tempo ci dovremo far inoculare il siero? “Diciamo che questa è una cosa che si dovrà vedere e imparare – ha asserito –. Viste però la presenza delle varianti, la diminuzione della risposta immunitaria nel tempo e la mancanza di vaccinazioni in molte aree del mondo, pensiamo che serva una terza dose. Magari non ci vaccineremo per sempre, ma probabilmente per i prossimi 5 anni”.



Moderna, peraltro, ha avviato alcuni studi clinici relativi ai soggetti d’età compresa fra i dodici e diciassette anni: presto, dunque, parte della popolazione scolastica potrà essere vaccinata? “Noi pensiamo che per quella fascia d’età a settembre ci sia un vaccino autorizzato e pronto per essere inoculato prima dell’inizio delle scuole. Stiamo conducendo anche uno studio sulla popolazione pediatrica, ovvero sui soggetti compresi fra i 6 mesi e i 15 anni, però servirà attendere fino all’anno prossimo per avere delle risposte certe”.



“VACCINO MODERNA? CI ASPETTIAMO CHE PROTEGGA DALLA VARIANTE INDIANA”

Il vaccino anti-Covid di Moderna protegge anche dalla variante indiana? Andrea Carfì, intervenuto a “Tagadà”, su La 7, non nutre dubbi in merito: “Stiamo testando il nostro vaccino, come facciamo sempre per tutte le nuove varianti che vengono identificate. Ci aspettiamo, comunque, che il vaccino protegga anche in questo caso dalla malattia. Sappiamo la sequenza e le mutazioni che il virus potrebbe avere, così come siamo consapevoli del fatto che il virus cambia costantemente. Inoltre, il fatto che abbia compiuto il salto da una specie animale all’uomo ci dice che si deve adattare”. Ma come si sviluppa un vaccino efficace sapendo che potrebbero presentarsi delle varianti? “Quello che facciamo noi è monitorare le sequenze del virus che vengono identificate nelle diverse parti del mondo, capire quali siano quelle che prendono maggiormente piede e valutare in base alle nostre conoscenze quali potrebbero essere più pericolose, studiandole in laboratorio per potere poi, nel caso, sviluppare un vaccino”.

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