Case, auto, cibo. Le politiche “green” dell’Unione Europea sono capillari, procedono per direttive da attuare negli Stati membri con l’obiettivo di trasformare ogni aspetto della nostra vita quotidiana. Vista da vicino, però, si scopre che “sostenibili” non lo sono affatto.

Parole all’apparenza concilianti e rispettose dell’ambiente sono il paravento di business milionari e strategie di attacco alle migliori produzioni nazionali, spiega al Sussidiario Alessandro Panza, europarlamentare della Lega-gruppo ID e responsabile Lega per le politiche delle aree montane.



On.le Panza, il Governo italiano ha varato 4 decreti sulla commercializzazione delle nuove “farine” di insetti. Come accoglie questa notizia?

È stata concessa l’autorizzazione all’immissione sul mercato delle larve di Alphitobius diaperinus (verme della farina minore) congelate, in pasta, essiccate e in polvere quale nuovo alimento. Dovrà essere palese ed evidente per il consumatore che cosa stia acquistando, quindi per quanto riguarda la farina di insetti credo proprio che il minimo indispensabile sia una chiara ed evidente etichettatura.



L’impressione è che il governo abbia fatto questi decreti suo malgrado. È perché, come si suol dire, “ce lo chiede l’Europa”? Oppure c’è dell’altro?

I decreti andavano fatti perché parte del processo legislativo. Questo servirà a rendere i consumatori adeguatamente informati. Vedremo che mercato avranno questi prodotti e a chi piaceranno.

Parliamo di “novel food” ovvero “nuovi alimenti”. Di che cosa si tratta?

All’insegna del green, ai sensi della normativa europea, sono novel food “tutti quei prodotti e sostanze alimentari privi di storia di consumo significativo al 15 maggio 1997 in Ue”, cioè alimenti che non appartengono alla tradizione culinaria europea. In pratica tutti i cibi che non sono mai stati consumati abitualmente dall’uomo. La categoria è ampia, spazia dai “nuovi alimenti” agli “alimenti da nuove fonti”, “nuove sostanze utilizzate nei prodotti alimentari” e “nuove modalità e tecnologie per la produzione di alimenti”.



In pratica?

Farina di insetti, carne clonata, ingredienti che usano le nanotecnologie come nuove modalità di produzione alimentare; questi, per esempio, sono novel food.

Da dove nasce questa esigenza? Dalla domanda dei consumatori?

No. Secondo la Commissione europea è necessario trovare soluzioni alternative all’allevamento convenzionale per far fronte all’insicurezza alimentare e alla crescente domanda di proteine da parte delle classi medie. Secondo loro la soluzione è nel consumo di insetti e di nuovi alimenti che, sempre secondo loro, contribuiranno positivamente all’ambiente, alla salute e ai mezzi di sussistenza.

Vada avanti…

Nel prossimo futuro sugli scaffali dei supermercati e sulle nostre tavole approderanno alimenti costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali, piante, microorganismi, funghi o alghe. La narrazione di questo che, lo sottolineo, è l’ennesimo business milionario proposto dall’Unione Europea a discapito dell’Italia, è che la carne sintetica potrebbe sfamare la popolazione mondiale diventando una risorsa accessibile a tutti.

E non è così?

Niente affatto. Al contrario, è evidente come sia affare per pochi. La tecnologia usata ha costi di ingresso elevati e rendimenti di scala crescenti: tutto il necessario per la creazione di monopoli e il tutto a discapito della nostra produzione, quelle eccellenze delle produzioni agricole, vitivinicole e gastronomiche dei nostri territori che hanno fatto dell’Italia la nazione sinonimo di qualità nel mondo.

Che cosa prevede la normativa? 

L’immissione dei cosiddetti “novel food” passa attraverso l’iter previsto dal Regolamento 2283/2015 UE, in particolare alla Commissione europea arrivano domande di autorizzazione di nuovi alimenti che devono essere valutate dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ed essere poi autorizzate. Lo scorso novembre la Food and Drug Administration, ente governativo degli Stati Uniti d’America che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ha autorizzato per la prima volta il consumo di carne sintetica, prodotta in laboratorio da cellule di animali vivi.

E cosa significa per noi?

È un segnale importante di come, secondo le multinazionali attive in questo nuovo settore, sia arrivato il momento di aggredire il mercato mondiale con questi “alimenti”. Come possiamo dargli torto?

Si spieghi, onorevole.

In tutto il mondo, e soprattutto in Europa, sono anni che si porta avanti un’ideologia green distorta, grazie alla politica della Commissione europea che getta continuamente fumo negli occhi dei cittadini, mascherando con la parola “ecologia” quelle che alla fine sono iniziative economiche di multinazionali che cercano nuovi modi per fare business.

Quindi il prossimo passo sarà la concessione dell’autorizzazione a qualche azienda ad immettere sul mercato prodotti a base di carne sintetica in stile Usa? 

Sì. Non solo il Regolamento 2283/2015 lo permette, ma la Commissione sta già sovvenzionando aziende attive nello sviluppo di carne e latte sintetici.

Potrebbe farci i nomi?

Greenfoods Network SL: progetto Cultured Beef per 50mila euro. Supreme/Gourmey: progetto Sustainblemeat per 50mila euro. Orf Genetics Hf: progetto CCMeat per 2,5 milioni di euro. Le aziende Biotech Foods SL, Organotechnie Sas, Nobre Alimentação Lda e Campofrio Food Group Sa partecipano al progetto Meat4All per 1,9 milioni di euro.

E c’è una risposta?

Coldiretti ha evidenziato macro-temi che smontano la visione ecologista di cui si maschera la produzione di “carne” sintetica. Prima di tutto non ci sono certezze sulla salubrità del prodotto, perché la proliferazione cellulare può indurre a instabilità genetica; inoltre la produzione di “carne” sintetica comporta un grande dispendio energetico ed enormi quantitativi di acqua, superiori agli allevamenti tradizionali, e non si eliminano le sofferenze degli animali perché per la produzione si parte da cellule staminali dei feti di vitello di età superiore ai 3 mesi. Si usano i soliti trucchi semantici, a partire dal termine “carne coltivata” che fa pensare alle piante, alla terra e alla salubrità, mentre la “carne” sintetica è frutto di ingegneria genetica prodotta in laboratorio, l’esatto opposto del concetto di cibo.

Avete iniziative in cantiere?

Come Lega-gruppo ID al parlamento europeo crediamo sia una priorità tutelare le nostre tradizioni, le tradizioni agricole, le tradizioni dell’allevamento di qualità, le tradizioni che mettono al centro il rispetto della terra, il rispetto degli animali e che ci permettono, da sempre, di ottenere prodotti di prima qualità che tutelano la natura e la salute dei consumatori. L’esatto opposto di quello che è il business delle multinazionali che vogliono produrre carne e altri alimenti in laboratorio nascondendo dietro al marketing dell’ambientalismo spinto la pura e semplice speculazione, a danni dei nostri produttori, delle nostre tradizioni, dei nostri cittadini e del nostro Paese.

Stesso discorso per il vino?

Esattamente. Sappiamo che ci sono motivi ideologici ed economici che spingono verso determinate scelte, come il nutriscore, l’auto elettrica o l’efficientamento energetico della case, lo stesso disegno vale per l’etichettatura del vino.

Parliamo di quest’ultimo.

La richiesta dell’Irlanda di etichettare gli alcolici, compreso il vino, con le stesse indicazioni di avvertenza presenti sui pacchetti di sigarette, è stata fatta in un’ottica distorta che non distingue fra abuso e consumo consapevole di una bevanda dai comprovati benefici nutrizionali se inserita in una dieta corretta. Per fortuna la battaglia non è finita, nei prossimi mesi si dovrà infatti esprimere in merito anche l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), in considerazione del fatto che questa normativa crei una barriera a livello internazionale all’interno del mercato.

Pensate di contrastare anche l’operazione sul vino?

Certamente. Sono iniziative generate da interessi contro cui dobbiamo combattere tutti insieme, per preservare i nostri legittimi interessi, come fanno peraltro gli altri Paesi. A proposito dell’etichettatura del vino ci aspettiamo che anche a Bruxelles si capisca che un moderato e consapevole uso non è pericoloso per la salute, al pari di altre sostanze che consumiamo quotidianamente. Il vino e le produzioni eno-gastronomiche sono un patrimonio da tutelare e non da criminalizzare, come invece in quei palazzi accade sempre più spesso.

Quali maggioranze sono possibili in Ue su questi temi, novel food e vino?

È una battaglia comune con i Paesi che hanno una vocazione agroalimentare storica e consolidata di eccellenze come Francia e Spagna. Si tratta certamente di una questione di tutela non solo di prodotti simbolo e delle nostre eccellenze, ma in linea generale delle nostra produzione, che è anche la storia del nostro Paese. Dovrebbe essere una lotta trasversale e apartitica, tutti coloro che sono disponibili a combattere questa battaglia sono i benvenuti.

Non  crede che in Italia l’opinione pubblica sia impreparata su questi temi “green”, al netto del rifiuto (70%, secondo il Corriere) verso il novel food e le polveri di insetti?

Sì, è così. Purtroppo pensiamo, sbagliando, che l’Europa sia un’entità astratta e lontana. I cittadini europei faticano a coglierne i contorni, comprenderne il funzionamento, senza rendersi conto di quanto essa sia vicina e immediata nelle sue ricadute in tutta la sfera della nostra vita quotidiana.

(Max Ferrario)

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