Richiesta di stimare l’effetto della strategia europea “farm to fork”, l’università olandese di Wageningen ha evidenziato che i raccolti europei di frutta e verdura potrebbero calare del 20/40% a seconda della produzione. È l’effetto di una direttiva che mira a ridurre del 50% i pesticidi, del 20% di fertilizzanti e a raggiungere il 25% di terreni coltivati a biologico entro il 2030. Si stima un calo della produzione di mele e di uva del 20%, del 15% del grano e del 40% di olio.
Siccome l’inflazione da transizione energetica e da tensioni geopolitiche non è abbastanza bisogna, evidentemente, calcare la mano per raggiungere l’utopia “verde” e tornare a un mondo bucolico in cui però le carestie facevano centinaia di migliaia di morti e in cui la popolazione era molto inferiore a quella attuale. I guadagni di produttività delle coltivazioni non sono scorrelati dalla quota di risorse disponibili per sanità, istruzione e infrastrutture. Se i campi rendono di meno e la quota di reddito che le famiglie devono riservare agli alimentari aumenta a venire meno sono le basi che hanno permesso l’allungamento dell’aspettativa di vita degli ultimi 50 anni.
L’inflazione da alimentari, ovviamente, colpirebbe il ceto medio, le famiglie con bambini e non si può neutralizzare con i “sussidi” o politiche di redistribuzione. Le immissioni di liquidità o il debito statale non creano pomodori né olive; sussidiare con i soldi dello Stato finanziato dalle banche centrali sposta risorse da privato a pubblico, privilegia chi è più vicino alla fonte della liquidità e distrugge i risparmi. Il sogno verde dell’Europa rischia di essere devastante per la generazione attuale mentre si insegue un mondo ideale che potrebbe non esserci mai. È un approccio che non lascia tranquilli.
In questi stessi giorni l’Europa si avvia a uno scontro, si spera solo economico e commerciale, con la Russia. È uno scontro che verrà pagato dai cittadini europei con un conto molto più salato di quanto possa sembrare. Il conto non è solo fatto di rincari di bollette del gas e dell’elettricità che finiscono anche nella tazzina del caffè. I flussi globali di grano e frumento, in caso di conflitto o di sanzioni, rischiano di venire stravolti e a farne le spese è l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa mediterranea. Se l’Europa deve contemplare il rischio di un peggioramento delle relazioni, anche solo per essere più libera di procedere, deve salvaguardare le proprie forniture e la disponibilità di alimentari. Questa è una sfida su cui, per esempio, la Cina si è già mossa.
In questo frangente storico l’Unione europea semplicemente si rifiuta di riconoscere che il mondo è cambiato radicalmente e prosegue come se nulla fosse successo o stia succedendo. Il conto che viene così superficialmente inflitto ai cittadini è solo una parte del problema perché la debolezza economica e sociale alla fine impediscono qualsiasi indipendenza.
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