Jennifer Lahl, fondatrice del Center for bioethics and culture network, si è soffermata sulla disforia di genere in occasione dell’incontro “Save our girls (and boys)” promosso dall’associazione Radfem Italia, che si è tenuto presso il Centro Culturale di Milano in questi giorni, spiegando che: «Il trattamento sperimentale di bambine e bambini non conformi al genere – le sue parole riportate da L’Avvenire – è pericoloso e ha effetti collaterali».



Secondo l’esperta, interrompere la pubertà fisiologica dei bambini con dei farmaci specifici non è la soluzione per chi soffre di disforia di genere e la conferma giunge anche dal fatto che in Inghilterra, tali farmaci sono stati messi al bando soltanto pochi giorni fa. Nonostante ciò sono molti quelli convinti che la transizione vada fatta il prima possibile, “Spingono in tal senso la classe medica e la politica progressista, si fa propaganda nelle scuole e i media la celebrano come un paradigma di libertà”, aggiunge L’Avvenire.



“FARMACI CHE BLOCCANO PUBERTÀ PERICOLOSI”, “CHI LI PROMUOVE…”

«Chi promuove l’uso dei farmaci bloccanti – spiega ancora l’esperta californiana, attivista conosciuta per il suo impegno su gender e maternità surrogata – lo fa per permettere ai bambini con disforia di genere che decidono di avviare la transizione di farla con garanzia di successo. Un bambino che vuole essere una femmina, secondo i fautori di questa prassi, potrà diventarlo in maniera più completa se avrà impedito lo sviluppo dei suoi organi genitali. Questo gli darà maggior speranza di non ritrovarsi con la voce grave, le mani grandi, il pomo d’Adamo».



La pubertà, però, non si può sospendere e poi riprendere come fosse un semplice bottone da schiacciare: «Lo sviluppo dell’essere umano – aggiunge la dottoressa – prevede che ci sia un tempo specifico per diventare fertili. Se si altera quella finestra temporale si danneggiano i meccanismi che portano l’uomo e la donna a generare, condannandoli all’infertilità».

“FARMACI CHE BLOCCANO PUBERTÀ PERICOLOSI”: I DUBBI SUL PROTOCOLLO WPATH

I protocolli per il trattamento sperimentale, come specifica L’Avvenire, sono promossi dall’associazione professionale mondiale per la salute transgender Wpath, ma di recente sono state pubblicate alcune chat interne da cui emergerebbe che la terapia è sperimentale e che sono stati trattati anche dei minori con dei gravi disturbi mentali. «Esercitano forti pressioni sui genitori (“Preferisci un figlio trans o una figlia morta?”) e dicono loro che il tasso di suicidio tra i ragazzini che non si riconoscono nel loro genere è molto alto – continua Lahl –. Non dicono loro, invece, che il tasso di suicidio dopo il trattamento non diminuisce affatto».

Insomma, una situazione che sembra quasi ai limiti della legalità e che sta suscitando non poche polemiche in tutto il mondo, anche e soprattutto fra la comunità di camici bianchi. «Ci sono molte similarità tra i bimbi che soffrono di questo disturbo – aggiunge e conclude Lahl – hanno subìto traumi o sono stati vittime di episodi di bullismo. La pornografia e l’eccessivo uso di internet sono tra i problemi principali. Tra le ragazzine, in più, c’è il contagio sociale: abituate a stare tra loro, cercano di assomigliarsi e si influenzano».