“Basta un poco di zucchero e la pillola va giù e tutto brillerà di più”: così cantava Julie Andrews nella versione italiana del film Mary Poppins di Walt Disney nel 1964 probabilmente evocando la medicina in gocce (non la pillola) dal sapore amaro (e per questo veniva messa su un cucchiaino – come dice anche la versione originale del film – mischiata con un po’ di zucchero per farla ingerire ai bambini) nota come “vaccino Sabin” contro la poliomielite. Questa doppia storia di grande successo, sia quella del vaccino Sabin che quella del vaccino di Mary Poppins, mi è venuta in mente mentre mi apprestavo a leggere il corposo volume (784 pagine) appena pubblicato da AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) su “L’uso dei farmaci in Italia Rapporto Nazionale Anno 2023” e curato dall’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali (Osmed).
Diciamo subito che il volume riguarda solamente i farmaci e non quel “supermercato di arte varia” che sono oggi i prodotti venduti nelle farmacie, e come indica la sua presentazione “L’obiettivo del Rapporto Nazionale cerca di bilanciare, laddove possibile, l’esigenza di una formazione tecnica sul monitoraggio dell’uso dei medicinali nella pratica clinica con quella di una informazione diretta al cittadino.
Ne scaturisce una panoramica che spazia dai medicinali consegnati ai pazienti dalle farmacie aperte al pubblico, a quelli consegnati dalle farmacie ospedaliere e/o somministrati nell’ambito delle strutture sanitarie di ricovero, per arrivare ai medicinali acquistati direttamente dal cittadino a proprio carico”, e considerato che l’elevata frequenza di patologie croniche è la cifra caratteristica del nostro tempo il Rapporto analizza con maggiore dettaglio l’uso dei farmaci nella popolazione che maggiormente è interessata da questa cronicità, e cioè gli anziani, anche per via della contemporanea somministrazione di più farmaci che risulta comune negli ultrasessantacinquenni e che li espone ad un maggiore rischio di reazioni avverse.
Considerato l’uso molto elevato che si fa dei farmaci e l’aumento costante che si registra nella spesa (vedi oltre), due temi trattati nel Rapporto meritano da subito una sottolineatura: il corretto uso dei farmaci, da una parte, e lo smaltimento nell’ambiente dei medicinali prescritti ma non consumati (soprattutto quelli a maggiore tossicità ambientale) dall’altra, temi che mettono direttamente in gioco la sensibilità dei cittadini ma che trovano difficile soluzione pratica.
Nel 2023 la spesa farmaceutica totale nel nostro paese è stata di 36,2 miliardi di euro, in aumento del 6,1% rispetto al 2022: di questi il 68,7% è rimborsato dal Servizio sanitario nazionale, mentre il cittadino (tramite il ticket, l’acquisto privato dei farmaci di fascia A e la spesa per i farmaci di fascia C) ha contribuito per 10,6 miliardi, con un aumento del 7,4% rispetto al 2022. Le principali variazioni della spesa farmaceutica territoriale rispetto all’anno precedente sono date da una riduzione dei farmaci prescritti, da una lieve contrazione dei prezzi medi e da uno spostamento della prescrizione verso specialità più costose.
Molto elevata è risultata l’eterogeneità della spesa tra le regioni, che vede per i farmaci di classe A in testa la Campania con 196,1 euro pro-capite ed in coda la provincia di Bolzano (116,3 pro-capite). Se si considera invece la spesa per i farmaci acquistati dalle strutture pubbliche (ospedali, ASL, …) i valori pro-capite più elevati si riscontrano in Campania (317,4) ed Abruzzo (310,6), mentre i più bassi sono stati registrati in Valle d’Aosta (217,7) e provincia di Trento (234,3). Tutte le regioni hanno aumentato la loro spesa rispetto al 2022 e le variazioni maggiori hanno riguardato il Friuli-Venezia Giulia (+16,6%) e la Valle d’Aosta (+15%).
Il 67,4% degli assistiti ha ricevuto almeno una prescrizione di farmaci nel 2023, con una netta prevalenza tra le femmine (72%) rispetto ai maschi (63%), e con gli ultrasessantacinquenni che assorbono più del 60% della spesa e delle dosi erogate. Significativo è anche il consumo nella popolazione pediatrica: il 48,6% dei bambini e adolescenti ha ricevuto almeno una prescrizione farmaceutica, con una prevalenza leggermente superiore nei maschi (49,1%) rispetto alle femmine (47,6%). Tra gli anziani il 68% degli utilizzatori ha ricevuto prescrizioni di almeno 5 diverse sostanze (principi attivi) e quasi un anziano su tre ha assunto almeno 10 principi attivi diversi.
Non manca il confronto internazionale, da considerare sempre con prudenza perché non è mai facile capire se si stanno paragonando le stesse cose. Ad esempio, con una spesa pro-capite di 612 euro l’Italia è inferiore alla Germania (673), all’Austria (672) ed al Belgio (627) ma è superiore a Polonia (276), Portogallo (439), Gran Bretagna (502) e Svezia (455) ed anche della media dei paesi europei (384). Rispetto alle nazioni a confronto gli italiani sembrano meno attratti dai prodotti equivalenti e sono più favorevoli a pagare un sovraprezzo per ottenere il farmaco di marca.
Il Rapporto va avanti così per oltre 700 pagine, analizzando in dettaglio anche le singole classi terapeutiche di medicinali: farmaci per le patologie oncologiche (la spesa maggiore), per quelle cardiovascolari (la seconda spesa), e via via per i medicinali dedicati alla cura di tutte le altre patologie e condizioni.
Se è certamente molta (e vedremo di tornarci) ed anche molto utile l’informazione contenuta nel Rapporto vi sono però delle aree e dei temi che nel volume non hanno trovato adeguato spazio: senza la pretesa di essere esaustivi se ne elencano alcuni tra quelli di maggiore rilevanza ed interesse. Si è già fatto accenno al problema delle reazioni avverse ai farmaci soprattutto negli anziani: come evidenziato anche da Garattini (Avvenire del 22.11.2024) la materia non viene toccata nel Rapporto, e uno sforzo in questa direzione andrebbe fatto. Allo stesso modo non viene affrontato il tema della equità nei consumi, in particolare per quanto riguarda la rinuncia alla cura farmaceutica per via dei suoi costi (e qui probabilmente alcune informazioni si potrebbero avere attraverso le attività svolte dal Banco Farmaceutico), anche se il dato del Rapporto AIFA secondo cui le regioni con un reddito pro-capite più basso registrano una spesa farmaceutica più elevata fa sicuramente pensare.
E sempre in termini di differenze regionali andrebbero almeno esplorate le ragioni delle differenze di spesa farmaceutica tra le diverse regioni cercando di comprendere, ad esempio, perché sia molto più elevata nelle regioni del sud. Ancora, si dovrebbe cercare di capire perché i nostri concittadini sono meno attratti dei loro corrispondenti europei dai farmaci equivalenti. E, solo per ragioni di spazio, mi fermo qui, anche se un settore che vale il 1,9% del PIL del nostro paese dovrebbe meritare da parte nostra maggiore attenzione e riflessione.
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