Gli Stati Uniti comprano ogni dose che trovano di Remdesivir, un farmaco antivirale della classe degli analoghi nucleotidici. Il farmaco, dopo un uso iniziale a piccole dosi, alla luce dei risultati conseguiti, è stato poi dichiarato dall’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali, il “farmaco ufficiale” per curare il Covid-19. Perché gli americani ne stanno facendo incetta? Il motivo è semplice, ci ha spiegato in questa intervista il professor Roberto Cauda, docente ordinario di Malattie infettive nell’Università Cattolica del Sacro Cuore: “Gli americani si trovano in una situazione gravissima con migliaia di morti e ne hanno bisogno”. L’azienda che lo produce, la Gilead Sciences, è americana ed è ovvio che li venda prima di tutto a loro. “Ma non ne resteremo senza in Italia, perché è tutto interesse della stessa azienda, vista la grande richiesta, produrne dosi per tutto il mondo”.



Gli Stati Uniti stanno facendo incetta di Remdesivir, uno dei due farmaci che si sono dimostrati più efficaci contro il Covid. Perché?

Il Remdesivir è stato riconosciuto come utilizzabile nel corso della malattia, all’inizio forse in maniera meno estesa, perché era difficile approvvigionarsi, ma poi gli è stata riconosciuta una certa efficacia nelle forme più gravi e avanzate. Adesso l’Ema l’ha riconosciuto come unico farmaco anti-Covid. Gli americani lo usano in maniera massiccia perché hanno un livello di contagio molto esteso e gravissimo.



Rischiamo di restare senza Remdesivir? Può mettere a repentaglio l’azione terapeutica sui nuovi casi?

Bisogna vedere se ne avremo necessità nei prossimi mesi. È evidente che l’industria ha tutto l’interesse a produrlo e metterlo a disposizione di quanti più paesi possibili. Per l’ebola era in fase sperimentale e non è stato usato molto. Adesso si vede che agisce sulle Rna, può essere utilizzato per vari tipi di virus. È un farmaco che ha efficacia. Altri farmaci agiscono direttamente sullo spike, contro il Covid-19. Questo è un farmaco che agisce sulla replicazione del virus, questa la sua specificità.



Ci sono terapie alternative che possono sopperire a una ipotetica carenza?

In questo momento sono le stesse che avevamo qualche mese fa. Se ci sarà o meno una carenza, è una questione di produzione. C’è interesse a produrne, non è più un farmaco compassionevole come si dice, ma un farmaco che ha dignità terapeutica.

I malati calano. Cala anche l’intensità dei sintomi? Si può dire che il virus è clinicamente morto o almeno che la carica virale è più bassa?

Questo l’ha detto Zangrillo. C’è un numero di ricoverati minore, il numero dei morti è più basso: perché sia avvenuto questo non lo so, perché il virus non è mutato, non ci sono anticorpi, quindi non sappiamo perché né in termini virologici né immunologici. Secondo diversi studiosi i soggetti più fragili sono morti. Adesso che l’età media dei colpiti  è più bassa, ci sono meno morti. Ma sono solo ipotesi.

Intanto aumentano i guariti. Ma più il tempo passa più ci si accorge che il Covid-19 non è solo una malattia respiratoria, ma sistemica, che lascia strascichi. Quali sono le problematiche maggiori?

La malattia è prevalentemente polmonare, nelle forme gravi. Quando vengono analizzati gli anticorpi di un convalescente guarito viene osservato un blocco anche veloce del virus. Nelle autopsie si è vista la presenza del virus nel cuore e nel rene, ma è una malattia che colpisce soprattutto i polmoni, nelle forme gravi anche gli organi vitali e il cervello in forme neurologiche piuttosto infrequenti. Siamo però ancora a livello di studio, dobbiamo lavorare molto.

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