Torna a parlare di quel terribile rapimento in Sardegna del lontano 1993 Farouk Kassam, l’allora bambino di 7 anni che venne sequestrato da 4 banditi sardi il 15 gennaio di 28 anni fa nella villa dei genitori a Porto Cervo. Figlio di un grande proprietario alberghiero belga di origine indiana, Kassam intervistato dal Corriere della Sera racconta con nuovi dettagli quella terribile esperienza durata dal 15 gennaio fino all’11 luglio di quell’anno: oggi ha 36 anni e vive tra Roma e Dubai, dove si occupa di investimenti immobiliari e finanziari. Il misterioso sequestro per cui sono stati condannati Matteo Boe – tra i più celebri banditi sardi del Novecento – Ciriaco Marras e Mario Asproni, è indimenticabile per Farouk che descrive così quei giorni irripetibili: «I sequestratori leggevano tutti i giornali: a 7 anni non avevo la percezione chiara di cosa stesse succedendo ma ho pensato spesso che sarei morto, perché ogni tanto veniva pronunciata la parola “uccidere”. Forse non parlavano di me, ma ero certo che a fare una brutta fine sarei stato io». Ha scelto però la Sardegna per fare le vacanze e questo per lui non è un controsenso: spiega ancora Kassam «Questo posto è casa mia, non ho mai commesso l’errore di rinnegare la Sardegna per quello che è accaduto. Non è stata questa terra a ferirmi, è solo il luogo dove si è consumato un fatto grave: ma non posso dimenticare la bellezza che mi ha dato e la dolcezza dei primi anni di vita».
I 177 GIORNI DEL TERRORE
Venne prelevate di notte con i genitori Fateh Kassam – passato alla storia per essersi rifiutato di scendere a compromessi sulle cifre richieste dai banditi “Io non pago per ciò che è mio” – e la moglie legati in cucina: «Non portatemi via, voglio stare con il mio papà», gridava il piccolo Farouk, poco dopo narcotizzato e portato in una grotta di Lula dove trascorse poi i 177 di prigionia. «Non credo fosse legato al fatto che mio padre è musulmano, ma l’unico cibo che mi veniva offerto era il porceddu, carne di maiale, che peraltro io mangio ma che per un bambino di 7 anni è molto pesante: i miei rifiuti venivano ricambiati con frustate sulla schiena», racconta ancora Farouk spiegando come per giocare i banditi avevano lasciato a lui una pistola vera scarica, per il resto però nessuno svago. «Quello è diventato il mio gioco: ricordo giornate intere a maneggiare quell’arma tra le mani», racconta ancora il ragazzo oggi adulto che al Corriere racconta poi i tantissimi topi che continuavano ad entrare e uscire da quella grotta umida e lurida. L’ansia dei roditori l’ha superata comprando un criceto, mentre ad oggi l’unica paura rimasta è per i campeggi «ai miei amici dico “Ok ragazzi, ma non più di una notte fuori”». Ad oggi resta il mistero sul perché di quel rapimento, con i tanti rumors che all’epoca davano Farouk Kassam parente del principe israelita Karim Aga Khan, l’uomo più ricco d’allora in Costa Smeralda: non era così, anche se la famiglia era solo legata ad una semplice amicizia con il miliardario: «L’Aga Khan diede a mio nonno il terreno dove abbiamo costruito l’hotel, ma non eravamo quei nababbi che tutti immaginavano: quando venne disposto il blocco dei beni i miei genitori hanno avuto difficoltà a fare benzina e anche la spesa al supermercato». Oltre a non riuscire a perdonare del tutto quei banditi, un altro ricordo funesta l’infanzia di Farouk: dopo l’orecchio tagliato per dimostrare la prova del suo sequestro, a Farouk inserirono della colla bostik nelle orecchie per non fargli sentire i discorsi tra i rapitori «Avevo i vestiti incollati indosso, non sono stato mai cambiato, le mie unghie erano artigli».