Una breve nota a margine di quanto scrive Monica Mondo sulla fiera del libro di Torino.

Non si creda che sia roba di oggi, amplificata dalla campagna elettorale e dalla decisione improvvida di Salvini di pubblicare la sua intervista con una casa editrice di destra. La cultura di sinistra, il comportamento di sinistra è lo stesso da molti anni e ne hanno fatto le spese nelle università e nelle scuole i tanti che non si riconoscevano né in quella cultura, né in quei comportamenti. Una visione del mondo e quindi un’azione sostanzialmente antidemocratica, che non lasciava spazio al diverso, anche quando esso era minoritario, incapace di proporsi in modo efficace e dunque non aveva non solo l’intenzione, ma neppure la possibilità di far paura.



Ma la paura è interna alla menzogna, perché prima o poi i nodi vengono al pettine. Per nascondere il timore della debolezza inerente alla mancanza di verità si crea allora il feticcio del nemico esterno. Ciò che oggi succede non è che la conseguenza delle modeste realizzazioni della sinistra in campo politico e del suo successo nel pervadere l’opinione pubblica e l’industria culturale.



Purtroppo la distruzione che ne è venuta non ha la brevissima durata delle polemiche odierne sulla presenza o assenza di questo o quell’intellettuale. Essa ha la durata di un cerino, come gli innumerevoli casi di corruzione che ogni giorno sono messi sotto gli occhi degli italiani da ogni parte e in ogni luogo della nostra patria. Durano quanto una candela che si spegne quando non serve più. Non sono neppure capaci di sorprendere, tanto meno di indignare.

La distruzione durevole è invece quella alimentata dalla gestione delle scuole, dai libri di testo faziosi e pieni di scomode omissioni, dalle assemblee antifasciste falsamente istituite come giornate della memoria, della legalità, della sostenibilità ambientale, dell’inclusività sociale. Goccia dopo goccia gli studenti sono irretiti dentro i fili di un’ideologia che ripropone stancamente se stessa, incapace di interrogarsi sulle ragioni della sua sterilità pratica. Ma il risultato è triste: dove è mai l’educazione al senso critico che era uno degli obiettivi della scuola di Stato?



L’educazione dell’intelligenza ha nella scuola il suo luogo principe. Come può l’Italia progredire se essa non favorisce il pensiero autonomo, il desiderio della ricerca, la fame della verità oltre i veli dell’opinione? Ci vorrebbe un immenso lavoro di autocritica e di revisione, altro che impedire a una casa editrice fascista di essere presente a una fiera del libro. In questo modo si continua a nascondersi dietro un dito.