La cosiddetta fase 2, così come l’ha comunicata alla nazione il premier Giuseppe Conte, ha lasciato l’amaro in bocca agli italiani: tutto qui? La fine del lockdown e la ripresa appaiono ancora lontane. Anzi, il Comitato tecnico scientifico, che “indirizza” le decisioni del governo, ha calcolato che, qualora si procedesse adesso con una riapertura totale, entro giugno in Italia avremmo bisogno di 151.231 posti letto in terapia intensiva e quasi mezzo milione a fine anno. “Oggi non esiste minimamente la possibilità di un liberi tutti – conferma il professor Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario della Fondazione Istituto “Sacra Famiglia” di Cesano Boscone -. Giusto procedere a piccoli passi. In realtà, questa non è nemmeno una fase 2. Ci saranno piccole riaperture il 4 maggio e dopo 14 giorni saremo in grado di valutarne i risultato. Bisogna tenere bene a mente che il virus è ancora qui e circola in mezzo a noi”.
I numeri comunicati dal Comitato tecnico scientifico le sembrano realistici?
Non so come siano stati calcolati, ma senz’altro c’è del realismo. Quello che si sta facendo in questa fase, che sarebbe meglio definirla 1,5 poù che 2, è come avere una serie di rubinetti, ciascuno dei quali può essere aperto o regolato. Ma senza una scientificità esatta sugli effetti provocati.
Ci spieghi meglio.
Se si apre per esempio il rubinetto delle coltivazioni agricole, non sappiamo quale sarà il numero dei contagi, c’è bisogno di una regolazione empirica sulle modalità di apertura anche rispetto all’importanza di provvedervi dal punto di vista economico e del bisogno di socialità delle persone.
Alle parole di Conte, però, l’opinione pubblica ha reagito con grande delusione. Come giudica questa reazione?
La capisco, si sperava che Conte dicesse “liberi tutti”, ma non è possibile. C’è una sperimentazione da fare, non a caso si era già deciso per altre date che poi sono state cancellate. Adesso si è scelto di avviare qualche piccola apertura per il 4 maggio e dopo 14 giorni si giudicheranno i risultati. A quel punto si prenderanno altre decisioni.
Ma non si potrebbero ad esempio riaprire quelle regioni del Centro-Sud dove il contagio è molto basso?
E’ la stessa cosa, anzi per certi versi in Lombardia siamo più infetti, ma la situazione è meno grave.
In che senso, scusi?
E’ vero che il virus continua a circolare, ma qui abbiamo un 20% di persone che sono protette. In quelle regioni invece forse solo il 5% è protetto, e questo bilancia il rischio. Poi dovrebbero tutti rimanere confinati nella loro regione senza uscirne.
Andrea Crisanti, virologo dell’università di Padova, è molto critico con Conte, ha detto che le sue parole mancano di criterio scientifico. E ha aggiunto che quando è iniziato il lockdown avevamo 1.797 casi al giorno, oggi 2.200. Che ne pensa?
Conosco bene il professor Crisanti, di cui ho grande stima, ma questo calcolo non tiene conto che all’epoca c’era una sottostima di almeno dieci volte tanto i casi reali. Oggi siamo più vicini alla realtà: prima ne intercettavamo uno su dieci, oggi uno su tre.
C’è qualcosa di non corretto, secondo lei, nella comunicato del presidente del Consiglio?
Se non altro è stato dato con maggiore anticipo rispetto ad altre volte, il che ci prepara psicologicamente e ci permette di organizzarci meglio. Dire che ci sarebbero stati step successivi in base all’andamento dei contagi è stato molto giusto. Date precise non se ne possono dare, abbiamo visto come in Germania la riapertura abbia causato la ripresa del tasso di contagiosità.
Che speranze abbiamo che questo virus venga davvero sconfitto?
Vedremo al momento della riapertura del 4 maggio. Il risultato di questa fase dipenderà dalla responsabilità di ciascuno, continuando a mantenere le attenzioni del caso. La possibilità che il virus venga sconfitto c’è, ma nel lungo periodo.