Da lunedì 4 maggio scatta la fase 2, con la parziale riapertura di alcune attività: torneranno al lavoro 4,5 milioni di persone, molte delle quali si sposteranno utilizzando i mezzi pubblici: treni, bus, metropolitane. L’ultimo Dpcm e le indicazioni del Comitato tecnico-scientifico hanno ribadito per l’ennesima volta il principio che è necessario evitare il sovraffollamento, una delle cause maggiori di ripresa dei contagi. Una sfida complessa e delicata per gli operatori del settore, chiamati ad affrontare non poche difficoltà organizzative: dal distanziamento fisico (un metro di distanza tra un passeggero e l’altro) alla predisposizione di percorsi ben separati tra chi deve salire sui mezzi e chi deve scendere. Non solo: si parla anche della possibilità (o necessità?) di differenziare gli orari di uffici, negozi e attività lavorative. Il tempo però stringe. Come si stanno preparando gli operatori? Quali sono le maggiori criticità da risolvere? E come potrebbe cambiare la mobilità nei prossimi 12-18 mesi di prevista convivenza con il coronavirus? Ne abbiamo parlato con Marco Piuri, amministratore delegato di Trenord e direttore generale di Fnm, a capo di una società di trasporto che in Lombardia muove ogni giorno 800mila persone.



I trasporti pubblici rappresentano una delle maggiori criticità in vista della fase 2, tanto che gli operatori del settore hanno scritto una lettera alla ministra De Micheli dichiarando che sarà impossibile sui mezzi pubblici far rispettare la distanza di un metro. Il distanziamento fisico quanto limita la capacità di trasporto passeggeri di Trenord?



È un tema molto dibattuto e sufficientemente complicato. Premesso che ciascuno deve svolgere il suo mestiere e quindi prendiamo atto che secondo i virologi il distanziamento di un metro, abbinato all’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, è la misura fondamentale, stiamo applicando questo criterio, posizionando sui nostri treni i marker, per cui prevediamo posti alternati: due persone ogni quattro sedili. Così facendo, riusciamo a garantire il 40-50% della capacità.

Tradotto in numeri?

Se prima trasportavamo più di 800mila persone in una giornata normale, dal 4 maggio, offrendo il massimo del servizio, potremo farne viaggiare 350-400mila.



Sono previsti controlli sugli afflussi nelle carrozze?

Non si può improvvisamente trasformare un sistema aperto, come è appunto il trasporto pubblico, ferroviario o su gomma che sia, in un sistema chiuso, con regolazione degli accessi e quant’altro, perché il trasporto pubblico, e i treni in particolare, in un’area metropolitana sono fatti per portare tanta gente, caricandola e scaricandola in pochissimi minuti. Ora, immaginare che di colpo questo sistema diventi capace di regolare flussi di accesso è irrealistico.

Dove sta il nodo della questione?

Noi possiamo ovviamente fornire tutte le indicazioni possibili, di tipo sonoro o visivo, ai passeggeri, spiegando bene quali debbano essere le azioni e le precauzioni da adottare, e possiamo costruire percorsi dedicati per chi sale e per chi scende dal treno così da non far incrociare i flussi di passeggeri. Ma poi il rispetto del comportamento corretto non può essere messo in capo alle aziende. Non possiamo fare un altro mestiere.

A cosa si riferisce?

Facciamo un esempio. Come può un autista di autobus dire a un passeggero senza mascherina che non può salire? Questa è un’attività tipica delle forze dell’ordine. Quindi, il nostro personale può tutt’al più segnalare eventuali situazioni critiche, ma nel segnalarle deve chiedere l’intervento delle forze dell’ordine. Questo è il tema più delicato che dobbiamo affrontare.

Perché?

Perché non c’è solo un problema di gestione fisica dei flussi, c’è anche una questione di responsabilità e di chi deve garantire l’osservanza delle indicazioni. Noi non siamo poliziotti, noi facciamo girare i treni: il nostro personale non può trovarsi caricato di un’incombenza che non gli compete.

Un altro aspetto delicato è rappresentato dai tempi di attesa tra un convoglio e l’altro, con rischi di sovraffollamento nelle stazioni. Può essere una soluzione aumentare la frequenza dei treni o il numero delle carrozze?

Le maggiori criticità si registrano in alcune fasce e non in tutta la giornata. Sono le classiche ore di punta, che per Trenord coincidono, alla mattina, con l’orario 6-8 e nel pomeriggio dalle 17 alle 19. In queste quattro ore normalmente trasportiamo il 40% dei passeggeri che viaggiano in un giorno. Il coefficiente di riempimento dei treni nelle ore di punta può arrivare anche al 150%: cioè su 100 posti noi portiamo 150 persone. Un problema di sovraffollamento.

Come evitarlo?

Nella giornata, mediamente, il coefficiente di riempimento è del 30%. Il che ci dice che c’è una capacità, un’offerta di treni durante la giornata, sfruttata in misura assai meno rilevante rispetto alle ore di picco. Quindi, punto primo: bisogna spalmare le ore di punta, facendo in modo che gli orari di vita e di lavoro vengano diluiti. Non ci si potrà più muovere tutti fra le 6 e le 8 e fra le 17 e le 19.

E poi?

Considerato che nelle ore di punta registriamo sui binari il massimo possibile dell’offerta, non possiamo far viaggiare più treni: aumentare l’offerta o la frequenza è un’ipotesi impraticabile.

Non resta, quindi, che lavorare sulla spalmatura delle ore di punta. Ma come si può fare?

L’orizzonte temporale è importante. Da lunedì 4 maggio la ripresa sarà parziale: non saranno aperte le scuole, né gli esercizi commerciali e una serie di grandi aziende continueranno, anche fino all’estate, a utilizzare in misura massiva lo smart working o a scaglionare le presenze negli uffici. Non ci aspettiamo, nel breve, una ripresa della mobilità a livelli pre-Covid.

Per poter diluire le ore di punta resta tuttavia necessario coinvolgere e mettere d’accordo un’ampia pluralità di soggetti. Ci sono tavoli aperti?

Ci sono una serie di interlocuzioni a diversi livelli, ma a tutt’oggi non c’è ancora un piano organico. Il tema della spalmatura delle ore di punta, comunque, si proporrà da giugno, se e quando riapriranno gli esercizi commerciali, e soprattutto da settembre, se riapriranno le scuole. A quel punto, o avremo trovato una soluzione di sistema oppure sui nostri treni trasporteremo quel numero di persone che ho detto prima: di più non possiamo farne viaggiare.

In Cina sono usciti dal lockdown prima dell’Italia. Come hanno affrontato il problema dei trasporti pubblici?

Le misure messe in campo in Cina non sono replicabili in Italia, cioè in un paese democratico e abituato ad altre consuetudini. Per esempio, in alcune città cinesi per utilizzare la metropolitana i passeggeri devono passare un doppio livello di controllo con due Qr Code differenti, uno dei quali relativo al proprio stato di salute.

E all’estero ci sono esperienze a cui guardare con attenzione?

Le soluzioni sono quelle che stiamo adottando noi: rispettare le distanze, rivedere gli orari, fornire il massimo di informazioni.

A tal proposito, la ministra De Micheli ha detto che è allo studio una app per comunicare ai cittadini che il bus o la metro sono troppo affollati. È una soluzione valida anche per i treni?

Noi lo stiamo già facendo, anzi potenzieremo progressivamente una app che ci consente di dare in tempo reale informazioni utili alle persone, visto che disponiamo già di un sistema di geolocalizzazione dei viaggiatori nelle nostre 400 stazioni in Lombardia e di un sistema di conteggio degli utenti presenti sui treni.

Si parla anche della possibilità di viaggiare prenotando le corse. Che ne pensa?

È un sistema che finora non ha adottato nessuno, neppure all’estero. A parte che l’impianto normativo sul trasporto pubblico regionale non lo consentirebbe, tecnicamente potremmo anche realizzarlo nel giro di qualche settimana, ma il tema vero è: come si fa a gestire un sistema di prenotazione nell’area metropolitana di Milano con treni che hanno frequenza di un quarto d’ora e caricano/scaricano in ogni stazione centinaia di persone?

L’emergenza coronavirus come impatterà sul sistema della mobilità?

Il modo di muoversi cambierà per forza, perché cambierà il modo di vivere e di lavorare. E se è vero che lo smart working diventerà più strutturale, non mi aspetto una diminuzione della mobilità, bensì un suo aumento, anche se meno regolare. Il che porterà a ragionare su un’offerta di trasporto integrata, a misura non più del classico pendolare che tutti i giorni alla stessa ora va e viene lungo lo stesso tragitto. E poi dovremo pensare a nuovi orari, ad avere tempi lunghi e maggiori possibilità di code e di attese. Dovremo diventare più fantasiosi.

In che senso?

Se prima un chilometro in città lo si percorreva utilizzando l’autobus, domani lo faremo a piedi o con la bici. Trovo molto interessante il fatto che le grandi città stiano ragionando sul potenziamento della cosiddetta mobilità dolce proprio per “scaricare” il trasporto urbano dentro la città.

Far muovere le persone potrebbe significare far ripartire i contagi. Secondo il Politecnico di Milano, la mobilità – assieme alla tenuta delle terapie intensive – resta un elemento cruciale da valutare attentamente anche in vista della fase 2. Siccome nessuno ha certezze e sarà inevitabile procedere anche per tentativi, qual è il suo auspicio?

Il mio auspicio è che si arrivi entro settembre ad adottare una risposta di sistema, che per ora manca e va costruita.

(Marco Biscella)

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori