Sì, viaggiare, evitando… Lucio Battisti diceva “le buche più dure”, ma oggi quelle buche sono diventate il ben più temibile pericolo di contagio. Evitare quindi il rischio, ma come? Mentre per il trasporto pubblico si studiano nuovi tornelli e difficoltosi posti diradati nelle carrozze di treni e metrò, ingressi contingentati su bus e tram, incentivi per l’uso di bici tradizionali ed elettriche, abolizione delle ztl e via dicendo, alcune compagnie aeree hanno già messo le mani avanti. Come Ryanair, che ha annunciato che, se il distanziamento sociale imporrà di lasciare libere le file centrali degli aeromobili, terrà i mezzi a terra. Semplicemente il business non sarà più conveniente.
Altre compagnie invece hanno adottato, o stanno predisponendo drastiche procedure per assicurare personale di bordo e passeggeri che il viaggio non si trasformerà in un successivo ricovero. Emirates, ad esempio, ha già inaugurato i test sierologici immediati pre-imbarco: si è iniziato sulla tratta Dubai-Tunisi, via via seguiranno tutte le altre. Ed Etihad Airways adotterà presto simili metodi nell’hub di Abu Dhabi. Il metodo è semplice, se si hanno a disposizione i materiali necessari: rapido prelievo di una goccia di sangue e risposta in dieci minuti. Così facendo, si viene a conoscere l’immunità, anche se una persona che si trovasse nella fase iniziale dell’infezione potrebbe risultare negativa al virus: insomma, servirebbe aggiungere al test anche un tampone, che richiede però tempi diversi di elaborazione. In ogni caso, i principali aeroporti del mondo stanno attrezzando aree dedicate per check-up veloci, che possano in qualche modo restituire ai viaggiatori un po’ di tranquillità, il requisito che forse più di altri verrà a mancare anche nelle fasi successive ai primi lockdown.
Una tranquillità che, come sottolineato più volte, si raggiungerà solo con un vaccino dedicato. Ma da oggi ad allora passeranno ancora vari mesi, durante i quali nessuno potrà permettersi altre vite sospese, altre attese inoperose, altre morti (economiche) da coronavirus. Eppure… I trasporti leisure, i viaggi, fanno parte del comparto turismo, quello oggi più a rischio, anzi già nell’evidente certezza di una crisi bruttissima e inedita, che però ancora si stenta a riconoscere per quello che è: una tragedia mondiale, ancor più impattante in un Paese come il nostro, dove il turismo da solo vale oltre il 13% del Pil.
Federalberghi invoca lo stato di crisi per la categoria (“Nel nostro settore la dimensione del problema si riassume con poche cifre: per gli alberghi la sola attività ricettiva vale circa 20 miliardi di euro all’anno, e a oggi il 95% degli hotel italiani è chiuso”, ha detto il presidente Bernabò Bocca). Le organizzazioni che rappresentano il turismo organizzato (Astoi e Fto in testa, poi agenzie, network, tour operator, business travel, promotori di fiere ed eventi: 20 miliardi di fatturato per 13 mila aziende e 50 mila addetti), inserite nel recente “Manifesto per il turismo per l’Italia“, chiedono a gran voce l’istituzione di un tavolo di crisi permanente, per l’analisi costante della situazione e fornire adeguati strumenti. Altri gruppi (TH Resorts in testa) annunciano di essere comunque pronti a riaprire le proprie strutture già a fine giugno, nel rispetto delle disposizioni che saranno indicate per la sicurezza e l’igiene.
Ecco, in questi giorni di limbo, tra la fine della fase 1 e l’inizio scaglionato della fase 2, andrebbero ben incentivate proprio queste riaperture, avanguardie e in qualche modo apripista che potrebbero segnare il percorso anche per tutti gli altri. Perché ripartire è necessario, e non solo per il comparto turistico, ma per tutto il Paese, che anche e soprattutto di turismo vive.