La partita decisiva della cosiddetta “fase 2” si gioca nelle fabbriche. Nonostante le reazioni negative al piano presentato l’altra sera dal Premier Conte da parte di commercianti, ristoratori, runners e altre categorie, l’unica sfida che conta veramente è riuscire a riprendere le attività produttive e a rimettere in moto almeno una parte del sistema di trasporto locale. Tutto il resto dipenderà da questo passaggio delicato. Non sia mai dovesse riprendere velocità la diffusione del virus, non ci sarebbe nessuno in grado di impedire un secondo lockdown, e questa volta lo si farebbe in un clima di sconfitta. Gli imprenditori sono pronti a questa doppia sfida, far ripartire le fabbriche, rimettere in moto il Paese? Sentendo Vito Grassi, giovane presidente dell’Unione Industriali di Napoli, sostenitore della scelta Bonomi e molto probabilmente destinato a un incarico di punta nella nuova Confindustria, sembra proprio di sì: prudenti, ma determinati a superare la prova.
Presidente Grassi, come giudica il recente decreto che dovrebbe guidare il passaggio verso la “fase 2”?
Passare alla fase 2 è una scelta coraggiosa, soprattutto considerando che non potrà essere uniforme in tutto il Paese. Ma è una scelta, allo stesso tempo, obbligata e urgente. Le imprese non possono reggere più a lungo in queste condizioni e dovranno ripartire, nonostante un livello di incertezza generale con il quale sarà necessario convivere. In questo ultimo mese e mezzo abbiamo assistito a richieste di pura “sopravvivenza”, dalla Cig ordinaria o in deroga – con un numero di domande di gran lunga superiori alle aspettative – e alla moratoria sui mutui, alla sospensione dei versamenti fiscali e contributivi. Ma non c’è aiuto che tenga quando un’impresa passa da 1 milione a 70mila euro di fatturato al mese. L’unica strada possibile è quella di ripartire.
Non le sembra che l’azione del Governo, dopo tanto discutere, abbia partorito un topolino? Non trova troppo timida la scelta compiuta e illustrata dal premier Conte l’altra sera?
Il punto è che occorre riaprire, ma occorre farlo con la massima sicurezza. Dovunque nel mondo leggiamo incertezza e approssimazione, è chiaro a tutti che non ci sono soluzioni precostituite. Se fino a oggi abbiamo rivendicato i costi per un’attività ferma, quelli prodotti da un nuovo stop sarebbero davvero insostenibili. Ripartire bene e investire su una buona ripresa significa evitare in futuro costi sociali molto più pesanti. Il nodo più importante in questa fase 2 è la convivenza con il virus: dobbiamo essere molto bravi a pianificare, evitando così il panico e mettendo in conto che potranno anche verificarsi casi positivi in qualche azienda. La cosa fondamentale sarà sapere esattamente cosa fare, come muoversi.
E le sembra che le indicazioni contenute nell’ultimo Dpcm rispondano chiaramente a tutti gli interrogativi?
Siamo passati da un protocollo di sicurezza – quello del 14 marzo – siglato in piena emergenza tra Governo, Confindustria e sindacati, ai nuovi aggiornamenti della task force che inaspriscono le misure a salvaguardia di tutti i lavoratori. Ma l’imprenditore non si accontenta. Mi sarebbe piaciuto trovarvi misure con diagnosi preventive, uniformate e scientificamente riconosciute per mappare e personalizzare il monitoraggio. Cosa che non escludo faremo lo stesso nelle nostre aziende.
Tra il tentativo di normare ogni singolo comportamento e l’appello al senso di responsabilità dei lavoratori e delle imprese, non pensa che si poteva avere più fiducia? Non le sembra che ormai tutti conosciamo il virus e la sua aggressività e sappiamo che nel “corpo a corpo” delle prossime settimane ogni errore potrebbe essere pagato a caro prezzo?
Per competere sul mercato è necessario salvaguardare la produttività, ma senza la salute di ogni persona che lavora in azienda non si va da nessuna parte. Del resto chi fa impresa è abituato a convivere con le incertezze e a ricercare soluzioni ritagliate sulla propria realtà aziendale per fronteggiarle, magari anche con modalità più impegnative delle restrizioni prescritte. Anche io penso che si dovrebbe investire sulla fiducia. Nelle imprese e nei lavoratori. Non ci sono imprenditori “cattivi” che vogliono a ogni costo salvare le loro imprese e i lavoratori “vittime”. Mai come oggi le imprese sono un bene comune, le imprese sono la soluzione e mai il problema! Dalla loro sopravvivenza dipenderà la qualità della nostra vita nel prossimo futuro e la natura della società che lasceremo ai nostri figli.
(Antonio Napoli)