Gli stati generali dell’economia, il piano Colao in 6 punti per la ripresa, le stime dell’Istat che prevedono un calo del Pil 2020 superiore all’8%, il ministro Gualtieri che intravede “una luce in fondo al tunnel”. E ancora: la presidente della Bce, Christine Lagarde, che avverte come “gestire la ripresa richiederà azioni straordinarie sia a livello nazionale che a livello Ue”, la discussione tra i 27 leader europei sulla proposta della Commissione europea sul Recovery fund che vede aumentare le critiche e i paesi contrari (ora sono sette: Olanda, Danimarca, Austria, Belgio, Irlanda, Lituania e Ungheria). Sullo sfondo, una miccia già accesa che corre veloce verso lo tsunami economico e la bomba sociale, con un timer che segna una scadenza: settembre 2020. Che cosa dobbiamo aspettarci? Quale sarà l’impatto di questa crisi sull’economia e sul lavoro? Basteranno le risorse europee a evitare il peggio? I tre giorni degli Stati generali, già criticati da Cgil e Confindustria, daranno la risposta giusta a dubbi e timori che aleggiano? Ne abbiamo parlato con Guido Crosetto, imprenditore e presidente dell’Aiad (Federazione delle aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza).
Il premier Conte ha deciso di convocare gli stati generali dell’economia. Sono quello che ci vuole in questo momento o non è già abbastanza chiaro ciò che serve oggi alle imprese e all’economia italiana?
Gli stati generali dell’economia in tre giorni non possono dare nulla di nuovo e diventano solo una giustificazione per poter dire che la scelta sarà fatta non dal governo, ma complessivamente da tutti. Invece un governo deve assumersi l’onere e l’onore di guidare una nazione, come stanno facendo in Francia e in Germania, dove hanno idea di che strada imboccare per far uscire i propri paesi dalla crisi. E’ quello che mi aspetto anche da un governo italiano, qualunque esso sia: indicare una strada che poi venga perseguita attivando tutte le risorse possibili.
Gli Stati generali non si sovrappongono ai 6 punti del piano Colao?
In effetti sembrano una sovrapposizione e a quel punto non si capisce a cosa sarebbe servito Colao. Uno dei due è pleonastico.
I soldi alle imprese arrivano ancora con poca fluidità e in questa fase 3 molte attività che hanno riaperto i battenti rischiano di non farcela e di dover chiudere di nuovo. Come evitare questo rischio?
Da due mesi continuo a ripetere che noi dovevamo immettere tutta la liquidità possibile in tutti i modi possibili all’interno dell’economia, perché quando manca liquidità al tessuto economico è come quando manca il sangue al tessuto umano. Non è stato fatto e ho l’impressione che ormai sia tardi, specie per alcune attività. Ma l’impatto maggiore di questa crisi lo vedremo solo da settembre-ottobre in poi e nel 2021 in modo ancor più drammatico e molto più grave, in termini di effetti sul Pil, di quello che sento ipotizzare.
L’Istat prevede una caduta del Pil 2020 dell’8,3%. Il ministro Gualtieri ha detto che “i dati dell’Istat confermano le previsioni del Governo e indicano la possibilità concreta di una ripresa già nel terzo trimestre. E già da questo mese colgono alcuni segnali di ripartenza”. Si vede davvero una luce in fondo al tunnel?
Probabilmente io vivo in un altro mondo e spero che sia come dicono loro, ma ho più che l’impressione che non sia così. Molte aziende me lo confermano: prevedono che dovranno lasciare a casa il 20-30% del proprio personale.
Lei si aspetta un autunno caldo dopo che andranno a scadenza Cig, blocco dei licenziamenti e sospensione del pagamento di tasse e contributi da parte delle imprese?
Sono convinto che ci saranno moltissimi licenziamenti e mi aspetto prima un autunno caldo e poi un 2021 drammatico. Poi, può anche darsi che alcune attività che hanno perso parecchio vadano incontro a un rimbalzo. Ma pensi al settore alberghiero, al turismo, alla ristorazione, all’aeronautica, ai trasporti: il prossimo anno come ripartiranno? Quando recupereranno i loro fatturati?
Secondo diverse analisi viene ricordato che l’Italia, grazie agli 85 miliardi dei decreti varati dal governo Conte, è il secondo Paese europeo, dopo la Germania, a livello di fondi stanziati per le misure anti-crisi. È così?
Intanto questi fondi non ci sono, di cosa stiamo parlando? La velocità era una variabile decisiva: se si promettono soldi e non arrivano nelle tasche di nessuno, anche se stanziati, non servono a nulla. Addirittura con il primo intervento formalmente il governo prometteva 400 miliardi di aiuti, in realtà ne sono arrivati appena 15, meno del 5%, quindi vuol dire che manca ancora più del 95%. E i soldi ci sono quando si materializzano nei conti correnti. Se questo non avviene, è come se non fossero stati messi. Germania e Stati Uniti hanno fatto ben altro.
Cosa intende dire?
A fronte di questa crisi, Germania e Stati Uniti, paesi abituati a non regalare nulla come soldi pubblici, hanno iniettato cifre di gran lunga superiori alle nostre. Capisco che hanno un Pil diverso, ma noi avremmo dovuto, almeno in proporzione, immettere le stesse risorse. Siccome Germania e Usa non amano buttare via i soldi, significa che quello che hanno deciso di stanziare era il minimo necessario per cercare di attutire al massimo l’impatto sull’economia del Covid. Noi non l’abbiamo fatto e nessuno ci regalerà nulla. Quando un intervento fatto da altri perché necessario non viene fatto, ci saranno delle conseguenze e nessuno può pensare che le conseguenze si dimentichino di te.
Con il Recovery Fund e il Mes per le spese della sanità l’Italia potrebbe contare già su 200 miliardi di euro. In più c’è l’ampliamento appena approvato degli acquisti di titoli di Stato da parte della Bce. C’è di che essere grati alla Ue?
Per citare Boskov: aiuto c’è quando soldo arriva. Per ora dobbiamo essere grati solo alla Bce: i suoi acquisti di titoli pubblici sono l’unico strumento che ci consente di mantenere basso lo spread e di trovare collocazione a tutte le nostre emissioni, che hanno tra l’altro registrato una domanda nettamente superiore all’offerta. Proprio per questo avrei utilizzato di più questi interventi della Banca centrale europea con emissioni superiori rispetto a quelle decise dal governo.
Anche il Recovery Fund ha una buona dotazione?
Il Recovery Fund deve essere ancora approvato, all’unanimità, e ci sono quattro Stati che sono contrari. Stiamo parlando di una possibilità, e talmente avanti nel tempo che non so quanto potrà essere utile.
E il Mes sanitario?
Se la maggioranza lo ritiene utile, che lo approvi, visto che può contare anche sul soccorso di Forza Italia. Inutile incolpare le opposizioni se non si riesce a portarlo a casa.
Secondo lei, il Tesoro sta sbagliando nel collocare così pochi Btp in queste settimane? L’Italia non dovrebbe insistere con maggiore determinazione su questa strada? E che cosa pensa del Btp Futura, destinato ai risparmiatori retail soprattutto per finanziare la ripresa?
Sì, era giusto emettere il più possibile titoli per mettere più fieno in cascina possibile. Ed è giusto coinvolgere il maggior numero di risparmiatori italiani. Siamo ancora in tempo per farlo con maggiore convinzione.
Il Copasir ha recentemente segnalato il pericolo che il controllo di importanti asset economici e finanziari italiani finiscano all’estero. Vede questo rischio? Quanto è diffuso?
Il rischio c’è, perché di società appetibili ce ne sono. E per il Copasir è un pericolo perché potrebbe trattarsi di operazioni studiate a tavolino non da speculatori, ma da Stati. Un conto è il finanziere che vuole fare un’operazione speculativa, un conto è la strategia perseguita da un altro governo straniero. Il secondo caso è molto più preoccupante. E servono tutti gli strumenti utili per fermare queste manovre.
Quale strada bisognerebbe seguire adesso per un rilancio effettivo della nostra economia?
Una deregulation massiccia: far arretrare lo Stato in tutte le sue inefficienze, per sei mesi-un anno, dall’economia. Ma siccome nello Stato ci sono la burocrazia, il fisco, la macchina amministrativa e quella della giustizia, in questo paese nessuno è in grado di farlo arretrare. Men che meno questo governo e questa politica, che non è in grado di scrivere le leggi e si affida a quei burocrati che mai si toglieranno il potere.
(Marco Biscella)