Gli effetti della fast fashion e l’impatto sull’ambiente che ha la moda usa e getta continuano a passare inosservato nel turbinio delle tendenze. Ma sul tema accende i riflettori il programma Le Iene con un nuovo reportage dall’India. Nicola Barraco, infatti, mostra i processi di lavorazione aggressivi e molto inquinanti dei vestiti, tra l’altro prodotti anche da bambini in condizioni di sfruttamento. Lavorano con turni massacranti, 7 giorni su 7, senza sicurezza, scaricando veleni nell’ambiente. I prodotti poi arrivano a basso prezzo sul nostro mercato nell’indifferenza generale. A dicembre la trasmissione aveva trasmesso un primo servizio sul lato oscuro della moda per far capire cosa c’è dietro una maglietta che compriamo a 5 euro.
In quel caso si era partiti da una gigantesca discarica a cielo aperto di vestiti. Tutto parte però dai campi di cotone, tra pesticidi e ogm. Secondo un report pubblicato a dicembre da Future investment initiative institute, che ha sede in Arabia Saudita, servono 8mila litri di acqua per produrre un paio di jeans e 3mila litri per una camicia. Il sistema attuale non è sostenibile, dunque bisogna cambiare i materiali di cui sono fatti i vestiti, dove e come vengono prodotti, ma anche come sono smaltiti.
FAST FASHION E AMBIENTE: IL REPORT DI DI FIII
Attualmente la fast fashion ha un impatto sull’ambiente negativo in ogni fase del suo ciclo di vita, causando un decimo delle emissioni di carbonio a livello mondiale. Nello specifico, è responsabile di oltre 1,2 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra all’anno, cioè un decimo di tutte le emissioni, più di tutti i voli internazionali e i trasporti marittimi messi insieme. Di fatto, l’industria mondiale dell’abbigliamento, che vale 2,4 trilioni di dollari e fornisce lavoro a 300 milioni di persone, emette quantità enormi di carbonio, spreca e inquina. Infatti, solo il lavaggio dei tessuti sintetici rilascia ogni anno 500mila tonnellate di microfibre nell’oceano, pari a 50 miliardi di bottiglie di plastica. Inoltre, la tintura dei tessuti usa una quantità di acqua in grado di riempire 2 milioni di piscine olimpioniche ogni anno. Se gli Stati Uniti hanno emanato regolamenti per chiedere alle aziende di mappare le catene di approvvigionamento, l’Unione europea ritiene che entro il 2030 tutti i prodotti immessi sul mercato dovranno essere durevoli, riparabili e riciclabili.