“Siamo incastrati, giriamo sempre nello stesso circolo”, dicono a un certo punto alcuni dei personaggi di Fast & Furious 9. Potrebbe essere anche una riflessione sul cinema mainstream hollywoodiano di massa, costretto a creare filoni, archi narrativi decennali (in questo caso, ventennali, contando che il primo film è del 2001), saghe, come sottotitola anche questo decimo – contando lo spin-off – The Fast Saga. E come le saghe, questo nono Fast & Furious è tutto fatto di agnizioni familiari e imprese oltre i limiti del possibile, come un James Bond tutto sentimenti personali e religiosità neo-conservatrice.
Stavolta a turbare la serenità di Dom (Vin Diesel) e Letty (Michelle Rodriguez), che vivono appartati col figlio, ci pensa Jakob (John Cena), il fratello reietto di Dom che si è alleato con la cyber-terrorista Cipher (Charlize Theron) per dare una lezione al fratello, col quale c’è una questione irrisolta legata alla morte del padre, 30 anni prima.
Appunto, è tutta una questione di psiche e conflitti intimi, che dei vari macguffin con cui il mondo rischia di finire non interessa molto alla sceneggiatura di Justin Lin – tornato anche in sella alla regia – e Daniel Casey, preoccupata di inserire le sequenze di azione e combattimento in un carosello dal quale possano apparire tutti i personaggi della serie, pure quelli che credevamo morti.
Stavolta, come fece Moonraker per la serie di 007, l’interesse diventa “fantascientifico”, si vola con le auto fino allo spazio e le stesse sembrano diventare quasi dei succedanei dei mecha giapponesi, i robottoni guidati dall’interno, cercando un delirio cyberpunk che possa traghettare la saga fino ai prossimi conclusivi capitoli (10 e 11) e guardare a un nuovo pubblico. Solo che niente di tutto ciò che Lin mostra sembra avere un peso, nessuna svolta narrativa o trovata spettacolare ha una sua concretezza cinematografica (nessuno, spero, cerchi emozioni o contenuti in un film così), perché Lin si accontenta di fare il giostraio, che l’ottovolante continui il suo giro come viene viene, svilendo il potenziale esplosivo del regista della seconda unità Alexander Vegh e del coordinatore degli stunt Spiro Razatos.
Sebbene inferiore ad altri capitoli, Fast & Furious 9 potrebbe comunque soddisfare gli appassionati, se non fosse che azzera l’ironia, vorrebbe che gli spettatori si appassionassero a personaggi così piatti e gli affibbia passati, flashback, seriosissimi background che si mangiano metà film e sembrano meno interessanti del virus mortale di turno.
In questo sta il vero limite del film, nel voler supplire alle carenze virtuosistiche del blockbuster (Cena scadente, al contrario della sua prova in The Suicide Squad, montaggio più confusionario del solito) con la turgidità dei sentimenti, con la grevità mai temperata dei suoi riferimenti ideologici, politicamente correttissimi eppure stucchevoli. Lin, o meglio il team produttivo della saga, vorrebbe costruire un serial puro, che possa trasmettere emozioni e “valori” allo spettatore. Al quale però, giustamente, interessa solo che una macchina possa sfrecciare fino alla Luna e ritorno senza colpo ferire, dimenticandosi i flashback il prima possibile.
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