“Perché Dio sceglie di parlare ai piccoli?”. Più precisamente: “Perché Dio sceglie di parlare attraverso i piccoli?”. Sono gli interrogativi che si pone monsignor Massimo Camisasca, vescovo emerito di Reggio Emilia-Guastalla, nella postfazione al libro I Pastorelli di Fatima. Uguali a tutti, uguali a noi, scritto dalla scrittrice e psicologa portoghese Madalena Fontoura (Ares, 2022). Perché il Signore “ha legato la sua manifestazione a tre persone così semplici e non ancora evolute dal punto di vista della cultura umana […]?”. Si chiede ancora Camisasca: “Non sarebbe stato meglio scegliere degli uomini colti, che avrebbero saputo trasmettere con parole elevate ciò che era stato loro rivelato?”. La risposta la offre San Paolo nella lettera ai Corinzi: “Quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono” (I Cor 1,28). Ma ci aiuta anche uno stupendo salmo: “Con la bocca di bambini e di lattanti hai posto una difesa contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli” (Sal 8,3).



Cinque anni fa abbiamo festeggiato i cento anni da quando, il 13 maggio 1917, nell’infuriare di una delle guerre più devastanti della storia, a Fatima, sperduto villaggio del Portogallo, a Lucia dos Santos, 10 anni, e ai suoi cuginetti Francesco (9 anni) e Giacinta Marto (7), appare la Madonna di Fatima. Lo straordinario evento si ripeterà con cadenza regolare nei mesi successivi, fino a ottobre, attirando un gran numero di fedeli e provocando l’ostilità delle autorità civili, in un contesto storico in cui soffiava gagliardo il vento del più acceso anticlericalismo. La preoccupazione per l’ordine pubblico porterà ad esercitare forti pressioni sui veggenti, fino al punto di rinchiuderli persino in prigione per qualche giorno.



Ma chi erano i tre pastorelli? In che cosa consisteva la loro semplicità? Erano ragazzini in tutto simili agli altri, abituati, come tanti loro coetanei, a portare a pascolare le pecore e le caprette delle rispettive famiglie. Lo facevano insieme, spensierati ma diligenti, tutti i giorni. Senza dimenticarsi delle orazioni, durante il tempo della sorveglianza degli animali. Pur non essendo particolarmente devoti, nel loro ambiente familiare – sottolinea Camisasca – “respiravano la solida consapevolezza, così chiara nei loro genitori, che tutto è dato da Dio, espressione di una religiosità sincera vissuta nella loro dignitosa povertà”.



Uguali a tutti, ma allo stesso tempo diversi uno dall’altro. Ciò che li univa era una fede sincera e, per l’età, eccezionalmente matura, ma soprattutto la condivisione di quella meravigliosa esperienza di incontro e dialogo con la “Signora”, che aveva fatto irruzione in modo così inaspettato nella loro esistenza quotidiana. L’autrice del libro ha ricostruito con una narrazione essenziale ma esauriente i fatti di Fatima proprio attraverso le storie dei piccoli veggenti, attingendo anche alle Memorie di suor Lucia.

Francesco era “amante dell’aria aperta, per lui la natura sembrava non avere segreti […] giocava con le lucertole e i serpenti che trovava”. Giacinta era “suscettibile e facilmente imbronciata, ma anche sensibile e dolce” e molto amica della cugina Lucia, che “imparava tutto con grande facilità, dai lavori domestici ai canti e balli”. Il giorno della sua Prima Comunione, ricevuta a soli sei anni! – lo ricorderà lei stessa una volta adulta – Lucia si raccoglie in preghiera chiedendo al Signore: “Fammi santa, mantieni il mio cuore sempre puro, dedicato soltanto a Te”. Due dei tre pastorelli, i fratelli Marto, colpiti dalla spagnola, moriranno giovanissimi e saranno proclamati santi il 13 maggio 2017 da Papa Francesco; di Lucia – ritiratasi in convento per tutta la vita e salita al Cielo a quasi 98 anni nel 2005 – è in corso il processo di beatificazione.

Se prima delle apparizioni i pastorelli non avevano “niente di speciale” perché “erano bambini normali”, dopo che Maria si manifesta a loro, anche in modo drammatico (la rivelazione dei segreti), c’è la svolta: rimangono se stessi ma a ciascuno, secondo la sua particolare indole, la Madonna di Fatima affida una missione, indica qual è la loro vocazione. Giacinta, profondamente colpita dalla visione dell’inferno, assume per sé il compito di pregare specialmente per la conversione dei peccatori, offrendo per questo tutte le sue sofferenze. Francesco, impressionato dalla tristezza di Cristo per la cattiveria del mondo (“Se io potessi consolarlo!”, diceva spesso) si impegna a fondo per la recita del Rosario, anche a costo di dedicare meno tempo al gioco. Anche lui sopporta i suoi atroci dolori senza lamentarsi e morirà con il sorriso sulle labbra. Infine Lucia. A lei la Madonna disse: “Tu invece resterai qui un po’ più di tempo. Gesù vuole servirsi di te per farmi conoscere e amare. Lui vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato”. Suor Lucia, evidenzia la Fontoura, trascorse la sua lunga esistenza terrena con “la certezza del fatto che la Madonna non l’avrebbe abbandonata mai e che, con la grazia di Gesù, tutto sarebbe stato possibile, senza che fosse necessario uscire dal raccoglimento della vita contemplativa”.

Che cosa ci insegnano i pastorelli di Fatima? La nostra difficoltà nel cammino di santità nasce dalla convinzione che “la percepiamo come un cambiamento di noi stessi da realizzarsi con le nostre forze”. Invece le vicende di Giacinta, Francesco e Lucia sono un segno evidente che “il Cielo ci vuole così come siamo, e al contempo disponibili a vivere in rapporto con Dio”, perché “nessuno di noi […] può sfuggire totalmente al fatto che è possibile cominciare, in questo istante, ad amare Cristo, così come siamo”. E in postfazione monsignor Camisasca aggiunge: “Ciò che Dio chiede all’uomo è semplice: non si aspetta che egli compia incredibili sforzi morali, non impone insormontabili leggi senza cuore”. Ci chiede solo di accoglierlo. “Come un bambino accoglie la realtà, così a noi viene proposto di accogliere il Suo amore”, che Egli riversa su di noi.

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