Ci sono più domande che risposte. E molta confusione. Il mondo dell’auto sta evolvendo a una tale rapidità che è utile mettere insieme le poche certezze che possiamo, onestamente, avere. La prima è che il business è meno redditizio di qualche anno fa. Lo certificano le quotazioni di Borsa e i risultati operativi appesantiti dalla massiccia dose di investimenti in ricerca e sviluppo portati avanti dalle case automobilistiche. Tutto ciò avrà conseguenze pesanti sull’occupazione. Secondo l’Acea ci sono oggi in Europa 13,8 milioni di persone che lavorano nel settore. Una parte di queste perderanno il posto, mentre altre con professionalità digitali o legate ai servizi verranno assunte. Ma le uscite saranno superiori alle entrate e la somma non sarà mai pari a zero, nemmeno nel lungo periodo.
Le auto elettriche saranno un problema industriale ed economico per altri due motivi. Primo, sono più facili da realizzare e per questo ci sarà una nuova concorrenza (Dyson, solo per fare un esempio, ma sono decine le new entry nel settore) con una pressione al ribasso sui prezzi. La relativa facilità di costruzione si trasformerà anche in una minore necessità di manodopera per realizzarle. I tagli alla forza lavoro sono già cominciati in Ford e in Jaguar, e annunciati da quasi tutti gli altri. Inoltre, la maggior parte del valore delle auto “ecologiche” sta nel sistema delle batterie che vengono realizzate in Asia e non (almeno per ora) in Europa. Spiegandoci meglio, il costo delle batterie rappresenta un terzo del valore nelle auto premium e oltre la metà in quelle mass market. Le case automobilistiche le acquistano, non le producono e quindi diventano, in larga parte, assemblatori e non costruttori, con una riduzione dei margini e degli spazi di manovra sui prezzi.
C’è un solo modo per uscire da questo cul-de-sac: integrarsi, fare gruppo, realizzare soluzioni, architetture e business insieme per ridurre i costi di sviluppo o fare massa nel campo, ancora poco esplorato, dei servizi. In questa direzione vanno le intese tra Bmw e Mercedes, due acerrimi concorrenti, che nei giorni scorsi hanno annunciato di lavorare a un progetto comune per la guida autonoma e qualche mese fa hanno deciso di fondere le proprie attività nel campo dei servizi di car sharing, di parcheggio, di noleggio, dei taxi e della ricarica delle auto elettriche. E sulla stessa strada si sono messe di recente anche il Gruppo Volkswagen e Ford che hanno annunciato l’inizio di una collaborazione che, però, non è stata ancora definita nei dettagli.
Non c’è altra strada. Restare da soli significa andare incontro a un lento ma inesorabile declino. Per tutti, ma specialmente per chi come Fca ha deciso negli anni scorsi di rimettere a posto le finanze aziendali prosciugando o quasi gli investimenti in ricerca e sviluppo. Ora, con ogni probabilità, i colloqui con Renault sono di nuovo iniziati, ma nessuno può dire, onestamente, come finiranno. Per la casa francese l’ipotesi di allearsi con Fca e perdere la relazione ventennale con Nissan non ha nessun senso. E anche per il Lingotto la presenza dei giapponesi nella partita è, a nostro parere, una conditio sine qua non.
Tutto insomma dipende dalla casa automobilistica di Yokohama, dalla sua volontà di inserirsi in una realtà che potrebbe assicurare anche a lei un futuro più roseo. Il tempo, in ogni caso, stringe: tutti stanno parlando tra di loro, trattando, cercando soluzioni. E Fca, per continuare giocare in serie A, deve entrare a tutti costi in partita. Qualcosa di buono da offrire ce l’ha e deve metterlo sul piatto, senza badare troppo a questioni di potere che riguardano solo ed esclusivamente l’azionista di riferimento.