Chi troppo vuole nulla stringe. Mai proverbio fu più vero come nella vicenda della fusione fallita tra Fca e Renault. L’accordo era già buono in sé e i manager francesi lo avrebbero firmato a occhi chiusi. Tanto è vero che il titolo transalpino volava nei giorni scorsi più di quello italoamericano. Poi è entrata la politica, quella parigina e quella di Tokyo. Lo Stato francese, socio di maggioranza di Renault con il 15%, ha chiesto che la sede venisse fissata a Parigi. E Fca ha abbozzato. Poi ha chiesto assicurazioni concrete (si è parlato anche di penali pecuniarie) sugli stabilimenti e i lavoratori in Francia. E Fca ha accettato. Poi anche un posto nel consiglio d’amministrazione e nel comitato nomine. Anche queste condizioni più o meno accettate da John Elkann, presidente di Fca che ha cominciato ad avere dei dubbi quando ha iniziato a circolare sui giornali l’idea di un dividendo straordinario per gli azionisti dell’azienda francese. Il prezzo del merger visto dal ponte di comando di Exor si stava alzando.
I dubbi che sono diventati delle certezze quando i rappresentanti di Nissan nel cda di Renault hanno confermato che si sarebbero astenuti e il numero uno dell’azienda automobilistica giapponese ha parlato apertamente di una revisione dell’Alleanza dopo il merger. Revisione che, come dimostra l’affare Goshn, ex ceo di Renault finito in carcere a Tokyo, ha l’appoggio incondizionato del Governo giapponese. Il rischio per Fca diventava quello di allearsi con una scatola quasi vuota, con un altro costruttore europeo che viveva gli stessi problemi che angosciano il marchio Fiat e di ritrovarsi con una partecipazione importante in Nissan difficile da sfruttare a livello industriale e commerciale.
Perché i veri nodi da sciogliere sono tutti sull’asse franco-giapponese. La Renault-Nissan Alliance, allargata poi a Mitsubishi, è nata vent’anni fa quando Nissan era al collasso e Renault in buona salute. Lo scambio azionario rifletteva questa situazione: Renault ha il 43,5% di Nissan e i giapponesi il 15% dei francesi ma senza i diritti di voto. Carlos Goshn, manager di Renault, fu inviato a Yokohama a guidare l’azienda che in qualche anno di lavoro portò fuori dal guado fino a farla diventare uno dei più grandi, redditizi e tecnologicamente avanzati costruttori al mondo. Goshn fece un così buon lavoro che divenne il capo di Renault, ma continuò a controllare indirettamente Nissan.
Oltre ai rapporti azionari sbilanciati, si dice che anche i rapporti commerciali fossero molto favorevoli all’azienda francese che fornisce i motori diesel ai giapponesi che in cambio vendono, qualcuno dice a prezzi stracciati, tecnologia elettrica. I rapporti di forza non sono cambiati, ma le realtà industriali sì e ora Renault in Borsa vale poco più di quanto valga la sua partecipazione in Nissan che ha quasi due volte la capitalizzazione dei “padroni” francesi. Goshn aveva proposto ai giapponesi una fusione in una newco posseduta in maniera paritetica, ma è finito in galera. Ora i francesi hanno provato a forzare la mano proponendo una alleanza a tre con Fca, ma i giapponesi, ripeto con il totale sostegno del loro Governo, hanno fatto capire che è tutto da ridiscutere, da rivedere.
Ma come, direte voi, Renault ha il 43,5% di Nissan e non può fargli fare quello che vuole? La risposta è no, per questioni politiche, quelle richiamate anche dalla nota di Fca. Il futuro del settore automotive non è più l’auto in sé, ma la tecnologia che ci sta dentro. Chi la possiede farà margini e crescerà facendo crescere il Paese che ospita le sue fabbriche. Il Governo giapponese lo sa bene e non è disposto a regalarla a nessuno. In questa situazione, senza l’adesione incondizionata di Nissan e con i giochetti del ministro francese dell’Economia Bruno Le Maire, il ritiro della proposta di accordo da parte di Fca è ineccepibile. E anche i mercati sono d’accordo: il titolo Fca ieri ha guadagnato uno zero virgola, mentre quello di Renault, favorito dall’operazione andata, per ora, in fumo, ha perso il 7%.