Non è successo assolutamente niente. Almeno in Borsa. Non c’è stata la lettera di Fca a Renault, quella di John Elkann a Nissan, non c’è stata la riunione a Tokyo dell’Alleanza e non c’è stato nemmeno il sostanziale via libera del Governo francese principale azionista della casa automobilistica d’Oltralpe. Venerdì 24 maggio, quando solo gli insider e il Financial Times sapevano dell’offerta di Fiat Chrysler a Renault, il titolo del Lingotto ha chiuso a quota 11,42 euro e sette giorni dopo ha terminato le contrattazioni a 11,44 euro. Uno zero virgola zero, zero e rotti di guadagno che arrivano alla fine di una settimana convulsa, ricca di avvenimenti che hanno chiarito una questione e ne hanno lasciati aperti molte altre.
I mercati, la Borsa e gli investitori hanno subito stabilito chi guadagna di più da un merger ed è Renault. Fin da lunedì scorso il primo giorno di contrattazioni dopo l’annuncio il titolo della casa automobilistica francese guadagnava oltre il 15%, due o tre punti in più di quello di Fca e ancora venerdì scorso, il 31 maggio, al contrario di Fca, aveva mantenuto un guadagno di circa l’8%.
Renault porta a casa la metà di marchi premium universalmente conosciuti come Lancia, Alfa Romeo e Maserati che non ha mai avuto nella sua storia e un mercato come quello nord America in cui non ha mai contato nulla. Fca, invece, forse solo un motore elettrico made in Japan e vaghe, e soprattutto costose sul piano sociale, sinergie per ridurre costi. Mike Manley, il ceo inglese di Fca, magari la pensa in modo diverso, ma il giorno del grande rialzo ha venduto 250mila azioni della società automobilistica, pari a circa il 25% del totale di azioni che detiene a un prezzo medio di 13,85 dollari, per un importo complessivo di poco meno di 3,5 milioni di dollari. La motivazione ufficiale è quella di dover coprire spese personali e sembra che non l’abbia fatto prima per non “violare le norme sull’insider trading”. Comunque non è stato un buon segnale e non è stato l’unico.
Insieme sono arrivate le voci di consiglio d’amministrazione di Renault intenzionato a chiedere di più a Fca e la decisione del presidente americano Donald Trump di mettere un dazio (per ora del 5% ma che potrebbe salire al 25%) sulle importazioni dal Messico dove il Lingotto ha degli impianti produttivi. Gli analisti hanno spiegato così la perdita di oltre il 4% del titolo Fca venerdì 31 maggio, ma non siamo certi che abbiano visto giusto visto che Fca, secondo Rbc Capital Markets, è esposto in Messico solo per il 22% e il gruppo Volkswagen che è esposto per 82% dopo l’annuncio di Trump ha perso solo l’1,76%.
Quello che davvero pesa sul titolo, sulle trattative e sul futuro merger è, invece, l’atteggiamento di Nissan. È la casa automobilistica giapponese ad aver le tecnologie elettriche e a fornirle a Renault a un prezzo estremamente vantaggioso. Senza Nissan la fusione potrebbe comunque esserci, ma sarebbe totalmente inutile per Fca. Per ora i giapponesi sono cauti, disposti a incontrare e a discutere con Elkann, ma non entusiasti. Da anni Hiroto Saikawa, ceo di Nissan, sta cercando di riequilibrare i rapporti con Renault e, forse considera il merger come una buona occasione per farlo. Per questo, come ha detto al quotidiano giapponese Nikkei, “risponderà attentamente” alla proposta di fusione tra Renault ed Fca, considerando “i contratti” con Renault “e come gli asset comuni saranno interessati”. Insomma, non sarà una passeggiata e ci vorrà molto tempo. Che Fca, forse, non ha.