La Federal Reserve ieri sera ha lasciato i tassi invariati come da attese. I mercati hanno interpretato il comunicato di ieri in senso “accomodante”; sono saliti gli indici azionari e sono scesi i rendimenti delle obbligazioni, si è indebolito il dollaro ed è salito l’oro.
La Banca centrale ha ridotto il ritmo con cui farà scendere il suo portafoglio di titoli governativi e ha indicato che l’incertezza sulle prospettive economiche è aumentata. L’incertezza prende le mosse dal cambio di paradigma dell’Amministrazione Trump. Non c’è chiarezza sui dazi, sui tempi in cui verranno introdotti e sul loro importo; ciò obbliga le imprese a posticipare le decisioni di investimento e questo pesa sull’economia.
Il secondo elemento di incertezza è quello relativo ai tagli alla spesa pubblica; è ormai pacifico che senza deficit da economia di guerra o da recessione l’economia non sarebbe passata indenne a un raddoppio del costo del debito e a una fiammata inflattiva che non si vedeva dagli anni ’80. Più si taglia, più l’economia rischia.
L’inflazione, nota la Fed, rimane elevata e l’economia, ha spiegato ieri Powell, regge ma allungando l’orizzonte temporale di osservazione le prospettive diventano meno chiare. I dazi sono sicuramente inflattivi nel breve periodo; è una previsione su cui non c’è discussione e che viene considerata assodata. Si può solamente discutere se questo aggiustamento al rialzo dei prezzi sia un “una tantum” oppure se sia l’inizio di una fase di rialzi prolungata. L’incertezza sulle politiche commerciali intanto è l’elemento dominante e l’unica conclusione sicura è il suo impatto negativo sulla propensione agli investimenti delle imprese.
L’Amministrazione americana sembra impegnata a ottenere un rallentamento dell’economia e uno sgonfiamento dei mercati che è funzionale a diversi obiettivi. Questo indebolimento evita ulteriori rialzi dei prezzi e crea le condizioni per il rimpatrio dell’industria. I mercati che scendono, i flussi finanziari che cambiano hanno già ottenuto, per esempio, una svalutazione del dollaro contro l’euro che fa bene alle imprese americane. Si devono correggere squilibri strutturali, in essere da decenni, che impediscono agli Stati Uniti di rimpatriare la manifattura.
Sgonfiare un’economia surriscaldata da deficit da economia di guerra senza che questo si trasformi in una recessione o in una correzione dei mercati nociva non è per niente facile. Il rischio è quello di una decelerazione difficile da controllare e che sfugga di mano prima che la Fed e il Governo riescano eventualmente a intervenire. È il rischio che in queste settimane è stato “comprato” dai mercati che vedono il rallentamento senza però essere in grado di stimarlo.
Si può concludere, dopo ieri, che questa sia anche la prospettiva della Banca centrale americana. La Fed vede i rischi al ribasso anche se il rallentamento, in qualche modo, è ancora “in potenza” e in uno scenario ancora molto incerto non solo per i dazi; anche quello geopolitico è complicato. In attese di certezze, sulla politica commerciale e sul quadro internazionale, è possibile che gli investitori continuino a esplorare il livello di tolleranza ai ribassi dell’Amministrazione americana e, in seconda battuta, della Banca centrale.
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