La Federal Reserve ieri non ha alzato i tassi, ma ha dichiarato che presto sarà “appropriato” alzarli e che l’economia non ha più bisogno di questo livello di supporto della politica monetaria. Per il presidente Powell sia l’inflazione che il mercato del lavoro impongono di abbandonare politiche monetarie altamente accomodanti. La banca centrale ha dichiarato l’intenzione di ridurre il proprio bilancio e di volerlo fare a ritmi sostenuti e più rapidi di quanto sperimentato in altre fasi di strette monetarie. I mercati hanno reagito con un calo degli indici, un rafforzamento del dollaro e un incremento del tasso decennale del debito americano. Sono movimenti che recepiscono un’evoluzione della politica monetaria americana in senso restrittivo.



Mancano due mesi alla riunione di marzo quando, presumibilmente, verrà annunciato il primo rialzo dei tassi e quando finirà la politica monetaria espansiva. In questi due mesi può succedere molto. Può succedere che l’inflazione salga ancora recependo gli effetti degli aggiornamenti dei listini del primo gennaio; l’effetto mediatico potrebbe essere considerevole e si possono immaginare titoli di giornale sull’inflazione più alta degli ultimi cinque decenni aggiornando ciò che è stato pubblicato in occasione del dato di dicembre. I titoli consoliderebbero ciò che molti consumatori hanno già cominciato a sperimentare. Dato che i salari crescono meno dell’inflazione l’opinione pubblica potrebbe chiedere a gran voce la fine delle politiche monetarie espansive. Questa è la previsione più facile; altre lo sono molto meno. 



I mercati sono continuati a salire nonostante non mancassero criticità. I debiti statali e societari sono molto più alti di quelli del 2019 e interi settori hanno appena cominciato a vedere la ripresa oppure sono ancora ai minimi. Questo è stato possibile grazie all’intervento straordinario delle banche centrali. Non è chiaro come possano reagire i mercati e i settori più indebitati e deboli alla prospettiva di una graduale, ma inesorabile normalizzazione delle politiche monetarie. È inevitabile chiedersi fino a che punto la Fed voglia o possa subire volatilità sui mercati e aumento dei fallimenti societari.



Ci sono criticità che sono oltre l’azione della banca centrale o su cui la banca centrale può molto poco nel breve medio termine. Nel primo insieme rientrano le tensioni geopolitiche e le politiche green che imprimono spinte inflattive via riduzione della disponibilità di energia. Nel secondo rientrano gli squilibri nei commerci tra Stati che una politica di rialzo dei tassi può aiutare a guarire nel medio lungo termine senza però effetti apprezzabili nel breve. Il rischio, in questo caso, è che la Fed inizi o prosegua su un percorso di rialzo dei tassi e di stretta monetaria in una fase di rallentamento del ciclo o di ulteriore peggioramento delle catene di fornitura globale che hanno un effetto negativo sulla crescita.

È possibile che nelle prossime settimane il supporto politico a un’inversione delle politiche della Fed si rafforzi, che i mercati reggano alle prospettive di un cambiamento e che lo scenario geopolitico si tranquillizzi. Questo è solo uno dei possibili scenari perché per quanto le politiche monetarie attuali siano eccezionali e creino distorsioni evidenti ci sono criticità serie. L’inflazione a due cifre è un male; la liquidità ingiustificata che distorce i mercati e crea bolle che alla fine colpiscono le famiglie è un altro male. L’economia però non è una scienza esatta e la medicina, a certe condizioni, potrebbe fare più male della malattia e comunque deve essere dosata con grande attenzione perché il malato è ancora debole e lo scenario instabile. 

I mercati incorporeranno sicuramente la novità di ieri, ma non sono stupidi e sanno che la Fed non controlla tutto. Per ora basta e avanza registrare che la Fed ha fretta di iniziare un percorso di normalizzazione prima di trovarsi con l’inflazione fuori scala in una fase di rallentamento del ciclo. L’attenzione ora si sposta sulla reazione dei mercati alla “novità” e poi sugli effetti che si produrranno nei settori e nelle geografie più fragili.

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