Joe Biden ha deciso di confermare Jerome Powell alla guida della Federal Reserve. Una scelta non scontata considerando che l’attuale numero uno della banca centrale americana era stato nominato da Donald Trump. Il Presidente Usa ha anche deciso di nominare Lael Brainard, vicina ai Democratici, vicepresidente. Come ci spiega Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fmi, c’è certamente una complementarietà tra Powell e Brainard: «Il primo è un avvocato d’affari, un finanziere, mentre la seconda è un’economista molto rispettata che si è occupata di dossier importanti e attuali come quelli relativi al climate change e al suo impatto sulla politica monetaria e al dollaro digitale».
Non era comunque scontata la conferma di Powell alla guida della Fed da parte di Biden. Può avere inciso il fatto che, con una maggioranza risicata al Senato, che deve ratificare la nomina, fosse meglio puntare su un nome che potesse incontrare il gradimento anche dei Repubblicani?
Va detto anzitutto che è abbastanza usuale che il Presidente della Fed venga rinnovato dopo il primo mandato. L’unica eccezione recente è stata proprio quella di Janet Yellen, attuale Segretario al Tesoro, e precedessore di Powell al timone della Fed. È ovvio, però, che nella scelta si tenga conto di quello che può essere il percorso di conferma senatoriale. Di fatto, un processo nato per validare a valle le scelte del Presidente degli Stati Uniti finisce poi per orientarle a monte. Tuttavia, va evidenziato un aspetto che non ho trovato nelle analisi finora fatte.
Quale?
È vero che Biden ha confermato il Repubblicano Powell, ma è altrettanto vero che sono vacanti, o presto lo diventeranno, tre dei setti posti del Consiglio direttivo della Fed. Uno è quello occupato da Randal Quarles, vicepresidente responsabile delle attività di supervisione bancaria, che ha rassegnato le sue dimissioni che saranno efficaci a partire da gennaio. L’altro è quello di Richard Clarida, L’attuale vicepresidente per la politica monetaria, il cui ruolo verrà ora ricoperto da Lael Brainard. Infine, vi è un terzo posto vacante. Dunque ci sarà presto l’occasione per nomine più vicine ai Democratici ai vertici della banca centrale, nomine cui l’Amministrazione Biden procederà nel prossimo mese di dicembre.
Rispetto al passato si sta forse dando molta enfasi alla futura vicepresidente, Lael Brainard…
Al di là della sua sensibilità politica orientata verso il Partito Democratico, è un’economista difficile da incasellare. Ha un’esperienza che spazia dal settore privato a quello dei think tank, dato che è stata vicepresidente della Brookings Institution, dove ho avuto modo di conoscerla. Tra l’altro, ha servito come sottosegretario per gli affari internazionali del Tesoro al momento della crisi dell’Eurozona e ha quindi un’esperienza diretta del contesto europeo, non solo per essere nata in Germania e aver vissuto in Polonia. Inoltre, ha avuto in mano dossier importanti come quello dei rapporti con la Cina.
Avrà quindi un ruolo importante, non sarà una vicepresidente solo “formale”?
La mia sensazione, avendo peraltro lavorato con lei, è che difficilmente ricoprirà un ruolo puramente cerimoniale od onorifico come la carica potrebbe far a prima vista pensare. Prenderà invece parte attiva al dibattito e cercherà di dominarlo intellettualmente. Sarà quindi in grado di incidere molto più di quanto alcuni si aspettino.
C’è ovviamente da chiedersi che scelte prenderà ora la Fed di fronte a un’inflazione che non accenna a diminuire.
Powell aveva già annunciato il tapering che è stato avviato proprio questo mese. Ritengo che la Fed, soprattutto alla luce degli ultimi dati sull’inflazione, ricalibrerà la sua narrativa, mediante la quale nei mesi passati aveva enfatizzato la dinamica transitoria dello shock inflazionistico, rimarcandone invece gli aspetti di maggiore persistenza. Per il Presidente e l’intero consiglio direttivo della Fed si porrà la sfida di normalizzare la politica monetaria e contenere lo shock inflazionistico cercando di mitigarne l’impatto recessivo.
Visto l’ultimo dato sull’inflazione, il +6,2% di ottobre, crescerà il pressing sulla Fed per un rialzo dei tassi?
Powell ha sempre enfatizzato il fatto che il suo approccio alle decisioni è data driven. Gli ultimi dati parlano di un’inflazione superiore alle attese e presumibilmente ciò porterà a un atteggiamento più aggressivo della Fed nel cercare di dominare questo focolaio inflazionistico. Questo, credo, porterà a una sfida importante per il Presidente della Federal Reserve.
A che cosa si riferisce?
All’apice della pandemia, Powell ha introdotto un approccio ulteriormente espansivo nella politica monetaria americana conquistando sia i mercati che i politici. Ora si trova nella parte opposta della curva e dovrà, da un lato, gestire l’impennata inflazionistica, dall’altro, mitigarne l’impatto recessivo. Avrà quindi di fronte a sé una via molto stretta con il rischio potenziale di scontentare sia i politici che i mercati.
Le scelte della Fed inevitabilmente influenzeranno anche quella della Bce. Cosa accadrà in Europa?
La Bce ha già cominciato a reimpostare la narrativa sullo shock inflazionistico, precedendo quindi la Fed. Le due Banche centrali si sosterranno nel puntellare questa nuova narrativa di uno shock inflattivo più persistente di quanto si immaginasse prima. Se la Fed dovesse, come alcuni operatori di mercato si aspettano, rialzare i tassi o spingere maggiormente per una normalizzazione della politica monetaria, questo avrà quanto meno un impatto sul tasso di cambio euro/dollaro e sulle scelte della Bce: è chiaro che una stance più restrittiva della Fed in qualche modo limiterebbe lo spazio di azione di chi nell’Eurozona vuole essere meno restrittivo.
Le misure di lockdown o di restrizione delle attività in alcuni Paesi europei potrebbero favorire un abbassamento dell’inflazione?
Al momento mi sembra che sia escluso lo scenario estremo del lockdown totale. Il rialzo dell’inflazione dipende anche da una serie di problemi logistici e strozzature nell’offerta che eventuali restrizioni alle attività rischierebbero di rafforzare. Quindi un abbassamento dell’inflazione non sarebbe scontato e, anzi, paradossalmente si potrebbe finire per stimolarne l’aumento.
(Lorenzo Torrisi)
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