La Federal Reserve ieri ha alzato i tassi di 50 punti base rispettando le attese del mercato e portando i tassi ai livelli più alti degli ultimi 15 anni. Dopo quattro rialzi consecutivi da 75 punti base il ritmo cala, ma il tasso di interesse terminale raggiunto il quale nel 2023 la Fed smetterà di alzare si sposta tra il 5% e il 5,5% dal 4,6% atteso a settembre. Significa che la banca centrale americana ha intenzione di alzare i tassi di più e più a lungo di quanto ci si attendeva solo tre mesi fa. La ragione è che l’inflazione, che ha raggiunto i massimi degli ultimi 40 anni a giugno, scende lentamente grazie a un mercato del lavoro ancora estremamente forte e nonostante l’avvitamento del mercato immobiliare e alcuni segnali di indebolimento della domanda.
Mentre la Federal reserve mostra la propria determinazione nel combattere il rialzo dei prezzi, i mercati, nelle ultime settimane, hanno spinto al ribasso i rendimenti delle obbligazioni a lungo termine. È una scommessa sulla recessione e su un’inversione della politica monetaria della banca centrale americana che, alla fine, dovrà prendere atto del rallentamento e interrompere i rialzi dei tassi se non addirittura cominciare con i tagli già nel 2023. Anche ieri il mercato non sembra aver preso sul serio la revisione al rialzo del tasso di interesse che verrà raggiunto l’anno prossimo. I principali indici azionari hanno chiuso in rosso senza però cali particolarmente drammatici. Il mercato, anche dopo ieri, sembra rimanere convinto di un’imminente cambio della politica monetaria determinato dal rallentamento economico.
Questa convinzione tiene in piedi i mercati in una fase in cui il rallentamento economico è atteso piuttosto che già conclamato nei numeri di utili e ricavi. La Federal Reserve potrebbe, però ,trovarsi in un contesto di indebolimento del ciclo con un’inflazione ancora troppo alta. Questo può spiegare la fretta nel rialzare i tassi e la determinazione anche a fronte dei primi ma inequivocabili segnali di rallentamento come è il caso, tra tutti, del mercato immobiliare. La questione quindi diventa quale livello di crisi economica e finanziaria la banca centrale sia disposta a sopportare pur di rallentare la salita dei prezzi.
I primi mesi dell’anno potrebbero presentare uno scenario di frenata dell’economia e allo stesso tempo di inflazione ampiamente sopra il 2%. Se questo fosse il caso, la Fed si troverebbe in una posizione molto scomoda e costretta a prendere in considerazione una politica monetaria che rischia di mandare fuori giro l’economia ma far rientrare l’inflazione.
I mercati non sembrano credere a questa eventualità dopo anni di politiche monetarie ultra espansive e accomodanti durate ben oltre il necessario. Qualsiasi dubbio su questa convinzione o la sua smentita sarà visibile sui mercati sotto forma di cali. Il termometro rimane l’andamento dell’inflazione: più a lungo rimane elevata, più aumentano i rischi che la Fed decida di continuare con l’attuale politica monetaria anche a crisi inoltrata.
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