La Federal Reserve ieri ha alzato i tassi di 25 punti base come da ampie previsioni. Nella conferenza stampa il Presidente della banca centrale americana Powell ha ribadito che ci saranno altri rialzi di tassi per tornare alla stabilità dei prezzi, ha dichiarato che non tutti gli effetti della stretta monetaria degli ultimi mesi si sono manifestati e che il mercato del lavoro rimane “estremamente stretto” e infine che nonostante i recenti sviluppi siano incoraggianti occorrono molte più conferme per essere sicuri che l’inflazione sia su un percorso di decrescita.



Nonostante queste dichiarazioni, il mercato ha reagito facendo salire gli indici azionari e le obbligazioni e comprando oro. Il mercato ha cambiato le proprie previsioni sui tassi e dopo la decisione e la conferenza stampa ha scommesso che saranno più bassi di circa 40 punti base rispetto ai livelli attuali e rispetto alle attese di mercoledì mattina. Gli investitori pensano che la Fed dovrà anticipare la fine delle politiche restrittive ed entro dodici mesi iniziare a tagliare i tassi. Questo significa scommettere che le condizioni economiche peggiorino e che l’inflazione migliori oppure che la banca centrale alla fine dovrà sacrificare l’obiettivo di contenere le spinte inflattive pur di non mettere in pericolo l’economia.



La Fed continua a essere “data dependent”; nelle ultime settimane si sono osservati dati che suggeriscono un fenomeno di disinflazione e i primi impatti della stretta monetaria sull’economia soprattutto nel settore immobiliare. In questo scenario la Fed dovrebbe essere vicina al punto di svolta che i mercati ieri hanno anticipato comprando. Con un’inflazione che scende e un’economia che comincia a incepparsi, la Federal Reserve, questo sembrano pensare gli investitori, non ha più scuse per continuare ancora per molto ad alzare i tassi.

Non è chiaro quanto questa convinzione possa durare in uno scenario internazionale e finanziario che rimane complicato. Può durare fino a che e nella misura in cui si può continuare a credere alla “disinflazione”. Alla fine, dall’autunno 2021, si torna alla questione dell’incremento dei prezzi. Se l’inflazione è in diminuzione allora si vede il traguardo e la fine di una fase di rialzi che arriva dopo due decenni o quasi di condizioni finanziari estremamente generose. Altrimenti il risveglio, anche dei mercati, sarà doloroso. Se l’inflazione non scende o se parte della riduzione vista in questi ultimi mesi dovesse sparire si dovrebbe incorporare una nuova normalità: la normalità di tassi alti anche in uno scenario economico complicato. Molti dovrebbero rifare i conti.



La reazione di ieri, con i mercati esplosi al rialzo e l’oro in grande spolvero, è una scommessa su un ritorno alla normalità dopo una fase anomala iniziata all’inizio del 2022, quando la narrazione sulla transitorietà dell’inflazione naufragava, e finita in queste settimane con la discesa degli incrementi dei prezzi. Fare previsioni sulla durata del movimento partito ieri è complicato tanto più in questo scenario geopolitico. Più facile individuare quale sia la variabile fondamentale: fino alla noia è ancora l’inflazione.

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