Mercoledì si è tenuta la conferenza stampa del Presidente della Fed Jerome Powell, nella quale lo stesso ha illustrato e commentato le scelte del Fomc e gli scenari previsti; innanzitutto, per chiarezza di esposizione, si ricorda che il Fomc è l’analogo del comitato dei Governatori della Bce cioè di fatto il Sebc, e gestisce come l’organo parallelo europeo le decisioni fondamentali della politica monetaria statunitense, e quindi tassi di interesse federali, liquidità e in aggiunta e diversamente dal Sebc non ha solo la missione della stabilità dei prezzi, ma anche quella di garantire le politiche monetarie di massima occupazione



I contenuti operativi salienti erano stati anticipati dai mercati: fine a inizio marzo del tapering e così termine degli acquisti netti di titoli del debito pubblico e obbligazionari immobiliari, anticipazione di inizio stretta sui tassi utilizzando la locuzione “a breve”.

Disamina quindi delle attuali condizioni economiche e del mercato del lavoro, giudicate robuste o anche meglio notevolmente irrobustite rispetto al sorgere della pandemia; ammissione di aspettative non corrette o se si vuole errate sul livello e sulla durata dell’inflazione in atto.



Poi, esame delle cause originarie a tutt’oggi operative: il responsabile unico e primo è per la Fed la pandemia, e tutto è poi venuto come fattori di ordine secondo, e cioè scompaginamento delle filiere produttive, logistiche e la catena dei trasporti e di approvvigionamenti a livello mondiale; la domanda ha avuto in seguito il suo ruolo nell’incrementare i prezzi andando a surriscaldare un’offerta debole e strozzata.

Lo scenario si completa con la ricerca dell’outlook sperato e progettato in funzione della lotta alla pandemia che fa permanere molteplici elementi di rischio, di cui al momento il primo e attuale è una presenza di inflazione al 7% di per sé pericolosa e sfuggita a un primo controllo. Ma la Fed tramite il suo Presidente si è affrettata a garantirne ora il pieno controllo e soprattutto il rientro con politiche monetarie che a breve inizieranno a essere restrittive, ma non tanto da strozzare la ripresa in corso.



Subito, prima di passare all’analisi, esterno il mio convincimento di fondo: debole, inappropriata, spiazzata rispetto agli eventi soprattutto prossimi venturi; se devo essere capzioso, e lo sarò, mi sembra una prolusione dettata dai desiderata della Casa Bianca e di Wall Street, ma all’interno della Fed, io credo che gli analisti e i governatori siano seriamente preoccupati. Quello che colpisce è l’assenza a qualsiasi riferimento delle turbative internazionali in atto, quasi come se la Fed fosse la banca centrale che guida e controlla il mondo intero “ad nutum”.

Ciò mi convince di mie precedenti suggestioni e loro evoluzioni: prima di qualsiasi distinguo macroeconomico o finanziario, gli Stati Uniti sono prigionieri al momento della loro immagine di potenza unica ed egemone del mondo e faticano a vedere le dinamiche di lungo corso che stanno arrivando in superficie: il dollaro non può più essere considerato alla stregua di una materia prima se la nazione emittente, e cioè gli Stati Uniti, non hanno più il controllo effettivo del pianeta.

A giorni, cioè a fine mese, avrò la stima da me condotta dell’inflazione tendenziale annua di gennaio 2022; bene, già da ora posso comunque anticipare con convinzione che ci troveremo di fronte a un tasso del 7,5-7,6%, e questo tipo di tasso non ammette più sbagli importanti. Cioè il ruolo dei fattori energetici, con in testa il petrolio, che stanno scappando di mano perché c’è in atto uno scontro di natura politica e strategica con la Russia che sta tracimando in contrapposizioni locali di tipo bellico è stato del tutto ignorato, e questa ignoranza purtroppo è un’ammissione implicita di impasse.

Negare l’evidente, o meglio ancora in modo più astuto ignorarlo nell’agenda, è un comunicare surrettizio agli operatori di mercato del mondo intero che le dinamiche inflattive anche nei loro fattori esogeni sono sotto controllo sostanziale della politica americana, parliamo ovviamente di Casa Bianca e Congresso. In interventi precedenti avevo già esternato questa mia ipotesi sullo svolgersi delle trame della politica interna degli Stati Uniti, oggi dopo aver preso nota del merito degli interventi del Presidente Powell avverto questa ipotesi molto ma molto più robusta.

Se a questo aggiungiamo che la Bce ancora più della Fed parla di un mondo economico e produttivo che oramai è da datare a 2/3 anni fa, quel che aumenta di intensità è la sensazione di un profondo sconcerto legato al fatto che il mondo finanziario occidentale e quindi globale sia completamente tramortito da eventi che assolutamente non dava prevedibili.

E quando la isteresi si impossessa dei mercati è l’ora in cui la speculazione esplode nei suoi risultati negativi e millantati come buoni. Colpisce ad esempio che il Presidente Powell nel tentativo di rassicurare e ingannare i mercati utilizzi locuzioni qualitative e imprecise; la riportiamo di nuovo “…a breve può essere opportuno un innalzamento dei tassi”; questo tipo di espressioni purtroppo arrivati al punto dove siamo non esprimono più cautela, ma profonda incertezza e mancanza di aspettative chiare.

Ora è iniziato un gioco diabolico, di quelli del prigioniero studiati da Nash, un folk theorem, e cioè il gioco del dilemma del prigioniero ripetuto e procrastinato, nei suoi possibili risultati che alla fine portano alla soluzione ovvia e peggiore: più dici cose false che vengono sconfessate dai fatti, più perdi di credibilità fino a perderla in modo sostanziale dato che non vieni più creduto. Ora alla Fed “devono sperare” che l’inflazione abbia comunque toccato la zona di picco, ma una cosa è sperare tale outlook, altra cosa è guardare in faccia alle cause vere e cogenti dei fatti che si stanno sviluppando.

Da una parte le materie prime sfuggite al momento alla logica dei mercati, dall’altra parte il proclamo di egemonica potenza della Casa Bianca che presto tutto verrà portato ai giusti prezzi economici, alle giuste interdipendenze economiche.

Nel frattempo i produttori oramai a riposo di gas da rocce di scisto degli Stati Uniti si stanno armando per tornare all’opera: infatti, col petrolio stabilmente sopra i minimi di 83-84 dollari al barile Wti diventa di nuovo economico perforare e frantumare la terra e devastare interi territori e contee. Beninteso, sempre che a questa offerta potenziale che risolverebbe i problemi di prezzo e forniture di petrolio venissero fornite le licenze dal “verde” Biden; tanto per dare un esempio di cosa sia l’estrazione di gas da scisto, si faccia mente locale che la Cina seconda al mondo per riserve di tale materia prima dietro la Russia (al terzo posto gli Stati Uniti… sempre loro tre!) preferisce estrarre carbone piuttosto che frantumare e trivellare; non si ha idea della quantità di acqua che va utilizzata in tale tecnologia e successivamente lo stato di distruzione dei territori interessati dai pozzi; addirittura in anni passati diverse licenze di estrazione dalle rocce di scisto in Ohio vennero revocate in molte contee, perché diverse cittadine sperimentarono terremoti con scosse fino al 5° grado della scala Richter e tutto questo in territori non affatto sismici. Poi, per carità, la necessità comanda nell’esistenza sia essa di un individuo che di una nazione, e quindi per tale crinale possiamo anche immaginare il “green” Presidente Biden concedere licenze a iosa per lo shale gas; personalmente, se a me mettessero una pistola alla tempia e mi ordinassero di scegliere tra shale gas e nucleare, risponderei mille volte nucleare.

La conferenza del Presidente Powell è basata sull’assunto fiducioso e irrealistico che le cose turpi di questi giorni si aggiusteranno; secondo me non sarà così, e le prime avvisaglie si hanno anche sul rendimento del Tresaury a 10 anni all’1,8% di rendimento effettivo in questo momento con una toccata nei giorni scorsi all’1,91%; c’è chi sostiene che il mercato stia prezzando una futura politica monetaria più aggressiva della Fed con i rialzi stimati di 3-4 volte nel corso del 2022 fino anche all’1,5 % dei federal funds, c’è chi invece sostiene che i mercati stanno iniziando a prezzare ben altro. È quasi inutile affermare da parte mia che aderisco ai sostenitori della seconda ipotesi: siamo in presenza di shock esogeni sul lato offerta delle materie prime, e tali shock si ha ancora la speranza che tali non siano in modo conclamato, ma solo accennato ed episodico.

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