Mercoledì 1 novembre si è tenuto il tanto atteso Fomc della Federal Reserve. Il Presidente Powell e il consiglio della Banca centrale hanno optato per mantenere invariati i tassi d’interesse federali fra il 5,25% e il 5,5%, affermando che, nonostante i prezzi al consumo siano ormai in evidente disinflazione (3,7% di crescita dall’ultima lettura), la lotta all’inflazione non è terminata e c’è ancora molta strada da percorrere per riportarla al target di lungo periodo del 2%.
Durante la conferenza stampa, il Presidente ha mantenuto un atteggiamento coerente con quello dei precedenti incontri, continuando sulla narrativa di voler sconfiggere l’inflazione a tutti i costi. L’economia resiliente e il mercato del lavoro robusto permettono alla Fed di avere più tempo a disposizione per attendere e monitorare attentamente lo sviluppo dei dati macroeconomici in uscita nelle prossime settimane. Lo stesso Powell ha sottolineato che l’ultima lettura trimestrale del Pil, con una crescita del 4,9% nel terzo trimestre, ha superato le loro precedenti aspettative. Tuttavia, ha dichiarato che per raggiungere l’obiettivo di riportare l’indice dei prezzi al consumo al livello target, sarà necessario raffreddare l’economia e aumentare la disoccupazione, attualmente al 3,9%.
Grafico 1 – Indice dei prezzi al consumo (Variazione % annuale)
Grafico 2 – Crescita Pil Usa (variazione annualizzata rispetto al trimestre precedente)
Insomma, l’atteggiamento della banca centrale è chiaro e invariato rispetto alle riunioni precedenti: proseguirà con politiche monetarie restrittive fino a che non sarà raggiunto l’obbiettivo di crescita dei prezzi del 2%. Tuttavia, sorge spontanea una domanda: cosa ha spinto gli indici americani, come l’SP500, a registrare guadagni per quasi il 4% nelle sessioni di mercato successive al Fomc, e ai rendimenti dei titoli di stato decennali a perdere 36 punti base nello stesso periodo?
I mercati finanziari stanno credendo in primis alle proiezioni della Fed, la quale afferma che a oggi le probabilità di una recessione economica, come è accaduto nell’ultimo incontro, sono fuori dal tavolo delle possibilità. Quindi, la narrativa del cosiddetto “soft landing” o “atterraggio morbido” diventa sempre più concreta. Inoltre, sembra che un ulteriore aumento dei tassi nel prossimo appuntamento della Banca centrale a dicembre sia improbabile. Il mondo finanziario sta infatti prezzando l’idea che questo sarà l’ultimo degli incrementi nell’attuale ciclo di rialzi durato ben 18 mesi, e prevede addirittura tagli già a partire da maggio e giugno 2024.
Le borse sembrano quindi aver già superato la fase critica derivante dai rialzi consecutivi dei tassi, prospettando che successivi raffreddamenti dell’economia e del mercato del lavoro per sconfiggere definitivamente l’inflazione siano attualmente il peggior scenario da considerare.
Ma è davvero così? Ci sono in realtà alcune questioni molto delicate da tenere in considerazione. Powell ha infatti dichiarato che, negli ultimi mesi, la situazione finanziaria nei mercati borsistici si è inasprita intensamente. Fra le cause, vi è il forte innalzamento dei rendimenti dei bond a più lunga scadenza, con conseguente aumento dei tassi fissi sui mutui a 30 anni fino a quasi l’8%, oltre alla salita del dollaro americano e al ribasso dell’azionario statunitense. Tutti questi sviluppi potrebbero indurre la Federal Reserve a rimanere più cauta nelle sue manovre, lasciando di conseguenza compiere il lavoro “sporco” di inasprimento delle condizioni finanziarie ai mercati.
Grafico 3 – Tassi fissi mutui americani a 30 anni
Tuttavia, questa potrebbe rivelarsi una scommessa molto rischiosa. Nel caso in cui gli investitori proseguano sulla narrativa del “soft landing” e della fine del ciclo di innalzamento dei tassi, con tagli già nella prima metà del 2024, le condizioni finanziarie potrebbero allentarsi velocemente, portando l’azionario americano in crescita e i rendimenti obbligazionari statunitensi in calo. Questa potrebbe rappresentare una situazione sgradevole per i membri del consiglio della Banca centrale. Infatti, Powell potrebbe esser costretto a reintrodurre ulteriori aumenti dei tassi d’interesse per evitare un ritorno prepotente dell’inflazione, con il rischio di provocare un improvviso rallentamento dell’economia e una possibile recessione tecnica. Tutto ciò porterebbe di conseguenza a una decelerazione significativa degli indici azionari e a una rapida crescita dei rendimenti sull’obbligazionario nel breve termine, creando così le condizioni per un “hard landing”, detto anche “atterraggio duro”.
La situazione si presenta quindi estremamente delicata e complessa. Fino a questo momento, i dati relativi alla resilienza economica e alla decelerazione dei prezzi al consumo sembrano giustificare la posizione della Banca centrale. Tuttavia, la decisione di far affidamento ai mercati finanziari potrebbe rivelarsi un grave errore se il sentiment positivo degli investitori perdurasse nei prossimi mesi. Le prossime letture sull‘inflazione e sul mercato del lavoro saranno cruciali per la Fed per decidere le prossime mosse da attuare.
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