Il 18 dicembre si è riunito il tanto atteso Fomc della Federal Reserve, dove è stato annunciato il terzo taglio consecutivo dei tassi d’interesse dall’inizio del ciclo di allentamento monetario. Anche questa volta è stata annunciata una riduzione dello 0,25%, ricordando che negli ultimi due appuntamenti erano stati tagliati i tassi rispettivamente di 50 punti base a settembre e 25 punti base a novembre.
La Fed porta così i tassi d’interesse federali al 4,5%, annunciando però una politica monetaria per i prossimi anni molto meno accomodante rispetto a quella prevista in precedenza dalla stessa Banca Centrale e dai mercati.
Grafico 1 – Fed Funds rate
Il Presidente Powell ha infatti annunciato che finora le mosse di allentamento della Federal Reserve sono state molto rapide e significative, arrivando a tagliare un punto intero percentuale in tre riunioni consecutive del Fomc, mentre d’ora in poi le decisioni verranno prese con molta più cautela e il ritmo delle diminuzioni verrà rallentato.
Queste dichiarazioni sono frutto delle proiezioni che la Banca centrale ha rilasciato all’interno del Summary of Economic Projections, molto interessanti e utili per capire come effettivamente la Fed stia prevedendo una politica monetaria meno accomodante nei prossimi anni.
In generale, prevede un’economia più resiliente e robusta, con un’inflazione al di sopra delle precedenti proiezioni e tassi d’interesse che rimarranno a livelli elevati per più tempo. Le previsioni sulla crescita del Pil durante il 2024 sono state incrementate, prevedendo ora un 2,5% durante tutto l’anno rispetto al 2% previsto a settembre, mentre per il 2025 si prevede un 2,1% rispetto al 2% previsto qualche mese fa. Per quanto riguarda invece la disoccupazione, si prevedeva un 4,4% a fine di quest’anno, mentre ora si prevede un 4,2%; anche per il 2025 le previsioni sono diminuite dal 4,4% al 4,3%. Era stata proprio la paura di un rimbalzo violento della disoccupazione che aveva fatto scaturire un taglio di 50 punti base nell’appuntamento del Fomc di settembre. Ora che i dati sulla disoccupazione sembrano essersi più consolidati e meno pessimistici, il ritmo dei tagli della Fed può rallentare.
Oltre alla crescita economica più alta del previsto e a una disoccupazione più bassa rispetto a quanto ci si aspettava, anche l’inflazione sta giocando un ruolo chiave nelle proiezioni più aggressive della Fed. L’11 dicembre è stato rilasciato il dato dell’inflazione statunitense, il quale si è attestato annualmente al 2,7%, in aumento rispetto al 2,6% dello scorso mese, con un aumento mensile dello 0,3%, superiore allo 0,2% registrato gli ultimi quattro mesi. La componente del cibo ha registrato uno 0,4% mensile, elevato se confrontato con l’aumento dello 0,2% degli ultimi mesi, mentre la componente dei servizi continua a non dare segni chiari di rallentamento. L’incremento registrato annualmente è frutto principalmente dell’effetto base al quale il Cpi è soggetto, ma anche il prossimo mese è molto probabile vedere questo effetto continuare ad agire, con conseguente aumento dell’inflazione annuale, mentre dalla lettura di gennaio in poi andrà a svanire.
Grafico 2 – U.S. Consumer Price Index (variazione % annuale)
Quest’inflazione, però, che continua a rimanere appiccicosa, soprattutto a causa dei servizi, sta mettendo in difficoltà la Fed, la quale si trova ad affrontare un’economia in crescita con un’inflazione resiliente. Sono state infatti le proiezioni sui prezzi al consumo, misurati dalla Fed tramite il Pce, che hanno sorpreso i mercati e gli investitori. La Fed prevede infatti a fine 2025 un Pce index al 2,5%, in aumento rispetto al 2,1% previsto a settembre, e ugualmente il core Pce al 2,5%, rispetto al 2,2% previsto solo qualche mese fa. Questo significa che la Banca centrale americana prevede prezzi al consumo molto più resilienti e, per riportare definitivamente l’inflazione al target desiderato, dovrà mantenere i tassi d’interesse a livelli elevati per più tempo.
Sempre dal Summary of Economic Projections si nota, dalla linea delle proiezioni dei Fed funds rate, le conseguenze in termini di politica monetaria di tutti questi dati: i membri del Fomc prevedono tassi al 3,9% nel 2025. Ciò significa che la Fed taglierebbe solamente dello 0,5% durante un intero anno; ugualmente, nel 2026 si prevedono tassi al 3,4%, prevedendo 50 punti base di diminuzione in un intero anno. Dalle precedenti proiezioni si prevedevano tassi nel 2025 al 3,4% e nel 2026 al 2,9%, ben al di sotto dei livelli previsti ora.
Un ultimo fattore chiave che è interessante notare è quello del tasso neutrale, ovvero i tassi d’interesse a lungo termine, previsti ora al 3%, in aumento rispetto al 2,9% dello scorso mese, e in gran aumento se si pensa che un anno fa si attestavano al 2,5%. Questo mostra come la Fed preveda nel lungo termine un’economia più resiliente, in grado di sorreggere tassi d’interesse neutrali più elevati.
I mercati hanno reagito con una discesa giornaliera di alcuni punti percentuali dopo l’annuncio, mentre il dollaro ha continuato la sua salita, rafforzato da tassi d’interesse più resilienti nel prossimo futuro.
Sarà molto interessante continuare a monitorare l’andamento dei dati macroeconomici per capire se l’inflazione continuerà a rimanere resiliente e se parallelamente si riuscirà a mantenere crescita economica e disoccupazione contenuta con una politica monetaria meno accomodante. Inoltre, sarà fondamentale monitorare le previsioni del mercato sui livelli dei tassi d’interesse, per vedere se continueranno a essere allineate con quelle della Federal Reserve o si scosteranno, com’è sempre successo durante gli ultimi anni.
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