Mercoledì 13 novembre è stato rilasciato il dato dei prezzi al consumo statunitensi relativo al mese di ottobre 2024. Il dato annuale si è attestato al 2,6%, in aumento rispetto al 2,4% registrato lo scorso mese, con un aumento mensile dello 0,2%.
L’inflazione ha rispettato le aspettative degli analisti, registrando però un incremento in termini annuali, principalmente attribuibile all’effetto base che incide sul calcolo annuale dei prezzi al consumo. Tale effetto continuerà ad agire fortemente anche sulle prossime due letture mensili, dove con molta probabilità potremmo vedere un un’inflazione che continua a rimbalzare.
Grafico 1 – U.S. Consumer Price Index (variazione % annuale)
L’inflazione core invece, al netto dei beni alimentari e dell’energia, è incrementata annualmente del 3,3%, invariata rispetto allo scorso mese, e anch’essa in linea con le aspettative del mercato. Andando a spacchettare più nel dettaglio le varie componenti all’interno, notiamo che l’aggregato dei servizi continua a rimanere appiccicoso, con un aumento annuale del 4,8% e dello 0,3% mensile, rispetto allo 0,4% registrato a ottobre. All’interno troviamo la componente dello shelter, la quale ha subito una crescita mensile sostenuta dello 0,4%, rispetto allo 0,2% dello scorso mese, oltre alla componente dei trasporti, che è passata da un incremento dell’1,4% dello scorso mese allo 0,4% di novembre, e quella dei servizi medici, registrando uno 0,4% mensile, in diminuzione rispetto allo 0,7% passato. La componente dei servizi continua a rimanere appiccicosa, soprattutto nella categoria degli affitti, mentre trasporti e servizi medici hanno rallentato la loro crescita mensile.
I mercati hanno reagito al dato nei giorni a seguire con un lieve ritracciamento, dopo la grande cavalcata al rialzo a seguito della nomina del Presidente Trump e il taglio di 25 punti base da parte della Fed. È sicuramente un periodo storico molto complesso, nel quale i mercati finanziari registrano massimi storici su massimi storici, supportati dalla grande euforia post-elezioni e dalle politiche di allentamento della Banca centrale americana. L’inflazione sembra non spaventare più gli investitori, i quali sono per ora abbastanza convinti che sia stata sconfitta, accettando probabilmente eventuali fluttuazioni al rialzo nel breve termine. Questa visione ovviamente è una scommessa rischiosa, dato che non ci sono ancora stati segnali di una decisa diminuzione della componente dei servizi, la quale continua a rimanere solida nella sua crescita, e combinandola a effetti matematici a cui il CPI è soggetto, si arriva al risultato attuale, ovvero un’inflazione annuale che potrebbe chiudere nel mese di dicembre (rilasciata perciò a gennaio) addirittura vicina al 3%, al netto di eventuali cali sostanziali dell’energia o dei servizi.
D’altra parte, i riflettori attualmente potrebbero essere più accessi nei confronti dei dati sull’occupazione, sebbene per ora non abbiano dato sorprese estremamente negative. La disoccupazione rimane al 4,1%, ben sotto il target di fine anno del 4,4% che la Federal Reserve aveva previsto dall’ultimo Summary of Economic Projections. Un dato che sicuramente non è passato inosservato è quello dell’Nfp, ovvero le nuove buste paga nel settore non agricolo, il quale ha registrato una crescita di sole 12 mila unità, rispetto alle 223 mila dello scorso mese. Sarà interessante monitorare se è stato solamente un cigno nero o questo trend negativo potrebbe proseguire.
In generale, la disoccupazione sta avendo ora un impatto importante nelle decisioni degli investitori, dato che eventuali rotture nel settore lavorativo influiranno sulle scelte della Federal Reserve, che si potrebbe trovar costretta a interrompere il suo allentamento della politica monetaria, specialmente se l’inflazione continuasse a registrare una componente dei servizi con una crescita robusta.
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