La Fed ieri sera ha lasciato i tassi invariati come era largamente atteso. L’appuntamento per il primo taglio è rimandato a settembre e anche in questo caso le parole di Powell hanno confermato le attese degli investitori: “Una riduzione dei tassi potrebbe essere sul tavolo al prossimo meeting di settembre”. Il comunicato stampa della banca centrale è cambiato incorporando gli ultimi dati sul mercato del lavoro e sui prezzi. L’inflazione per la Fed nell’ultimo anno è scesa, ma “rimane in qualche modo elevata”; la disoccupazione è salita, ma “rimane bassa”. Lo scenario economico “rimane incerto” e la Fed “rimane attenta a entrambi i lati del suo mandato” e cioè sia l’occupazione che la stabilità dei prezzi. Il riferimento al doppio mandato sostituisce le parole degli ultimi comunicati in cui invece ci si concentrava solo sui prezzi.



I mercati azionari hanno reagito positivamente alla decisione nonostante le attese siano state rispettate. In realtà ancora martedì si scontava una piccola percentuale, circa il 5%, di possibilità di un taglio già a luglio. Gli ultimi dai sui consumi, si pensi al calo delle immatricolazioni auto ma non solo, e anche quelli sul mercato del lavoro danno conto di un rallentamento già visibile. L’aumento dei prezzi degli ultimi due anni e quello dei tassi di interesse creano le condizioni per un’inversione rapida; qualsiasi indebolimento del mercato del lavoro lascerebbe le famiglie alle prese con costi molto più alti di quelli del 2021 e quindi l’impatto sui consumi sarebbe repentino. La scelta della Fed di non tagliare già a luglio è in qualche modo rassicurante nella misura in cui segnala che non c’è urgenza di sostenere l’economia. Questa è vero a prescindere dalla bontà o meno delle previsioni della Fed esattamente come tre anni fa i mercati si sono fidati per mesi di un’inflazione che doveva essere transitoria.



Con il deficit pubblico all’8%, molti settori industriali che arrivano da trimestri di profitti record e liquidità abbondante le condizioni finanziare rimangono positive se non bisogna incorporare il rischio di una recessione. La reazione di ieri, con i mercati azionari in rialzo, insinua il dubbio che un taglio avrebbe invece causato un calo dei listini. Le recessioni storicamente iniziano dopo il primo taglio e non prima. Un taglio avrebbe certificato, agli occhi degli investitori, l’inversione del ciclo economico; tutto questo a meno di quattro mesi dalle elezioni presidenziali americane. La Fed, a prescindere dal colore politico del Presidente in carica, ha sempre lavorato per evitare che i mercati determinassero l’esito del voto presidenziale in un Paese in cui una larga fetta della popolazione ha i risparmi investiti in borsa.



Il prossimo meeting della Fed, il 18 settembre, sarà quindi quello del primo taglio. A quel punto alle elezioni americane mancheranno meno di due mesi. Archiviata la decisione di ieri a occupare gli investitori saranno i mercati energetici. Ieri il petrolio ha chiuso con un rialzo del 5% perché le tensioni in Medio Oriente si moltiplicano e, per la cronaca, tutto sono fuorché deflattive soprattutto per chi, a differenza dell’America, non è il primo produttore di idrocarburi del mondo.

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