Durante la conferenza stampa che si è tenuta nel pomeriggio del 13 dicembre, la Federal Reserve ha annunciato di mantenere invariati i tassi d’interesse federali, fissati ai massimi degli ultimi 22 anni al 5,5%. Questa decisione segna molto probabilmente la conclusione di questo lungo ciclo di rialzi iniziato nel marzo 2022. Nonostante ciò, il Presidente Powell ha sottolineato che la lotta all’inflazione non è ancora conclusa, e che ulteriori misure restrittive potrebbero essere attuate in caso di necessità.
Grafico 1 – I tassi d’interesse federali
L’attenzione dei mercati finanziari era però rivolta alle proiezioni sui tagli dei tassi d’interesse da parte della Fed nel 2024. Con la crescita economica ancora resiliente e l’inflazione che prosegue il suo corso decrescente, la Banca centrale ha mostrato le sue proiezioni, prevedendo tagli di circa 75 punti base durante il 2024. Ciò porterebbe i tassi a fine del prossimo anno a circa il 4,75%.
Di particolare rilievo è il Dot plot chart, il grafico rappresentativo dei consensi da parte dei membri partecipanti al Fomc sulle stime future dei tassi federali, rilasciato dalla Federal Reserve all’interno del Summary of Economic Projections. La linea verde all’interno rappresenta la mediana dei consensi. Si noti come nel 2024 il valore dei tassi si attesta approssimativamente fra il 4,50% e il 4,75%, mentre nel 2025 si prevede che il tasso federale arriverà fra il 3,5% e il 3,75%.
Grafico 2 – Dot plot chart
I mercati finanziari hanno interpretato il discorso di Powell come una conferma delle scommesse che ormai da diversi mese avevano messo in atto: la fine del ciclo di rialzi dei tassi d’interesse, l’assenza di una recessione, l’inflazione in decrescita e prossima al target del 2%, e tagli dei tassi federali durante il 2024. Questa lettura ha scatenato ulteriore euforia sulle borse, che nella giornata di mercoledì 13 dicembre hanno registrato forti guadagni (+1,22% per il Nasdaq e +1,35% per l’SP500), e i rendimenti sull’obbligazionario, soprattutto per le scadenze più brevi, sono scesi fortemente.
Inoltre, i mercati stanno scontando che la Banca centrale americana sarà nel 2024 ancora più accomodante rispetto alle proiezioni che essa stessa ha fornito. Gli investitori prevedono, infatti, decrementi dei tassi d’interesse di circa l’1,5% nel 2024, con tagli previsti già a partire da marzo dell’anno prossimo. Ciò crea un significativo differenziale, di circa lo 0,75%, fra le proiezioni della Fed e quelle del settore finanziario.
La situazione, perciò, agli occhi della finanza continua a essere chiara e senza alcun tipo di ostacolo nel tragitto. È importante però analizzare nel dettaglio alcuni dati usciti recentemente sull’economia americana, per cercare di individuare potenziali problemi a cui gli Stati Uniti potrebbero andare incontro.
Martedì 12 dicembre è stato rilasciato il dato sull’inflazione headline americana, che ha registrato un incremento annuale del 3,1% a novembre, in diminuzione rispetto al 3,2% annuale di ottobre. L’inflazione core, invece, deprivata della componente del cibo ed energia, è rimasta al 4% come nella lettura dello scorso mese. Il leggero decremento dei prezzi al consumo headline è anche questa volta frutto di una forte discesa della componente energetica, che è diminuita del 2,3% rispetto al mese precedente e del 5,4% rispetto allo scorso anno. Ma l’aggregato che dovrebbe spaventare maggiormente, o perlomeno far riflettere i mercati, è quello dei servizi, i quali continuano incessantemente ad aumentare e non permettono all’inflazione core di diminuire.
Grafico 3 – U.S. Consumer Price Index Headline (variazione % annuale)
A novembre, i servizi hanno registrato un incremento dello 0,5% rispetto al mese precedente e del 5,5% rispetto a un anno fa. All’interno, la componente dei trasporti è aumentata del 10,1% annualmente e la componente degli affitti del 6,5% sempre su base annua. L’inflazione, perciò, non risulta ancora sconfitta ed è molto probabile che continui a mantenersi intorno a questi livelli se la componente dei servizi non inizia a rallentare la sua crescita.
Inoltre, la scorsa settimana sono stati rilasciati diversi dati sull’occupazione. Il tasso di disoccupazione è sceso al 3,7%, rispetto al 3,9% dello scorso mese, mentre le nuove buste paga del settore non agricolo sono aumentate a 199 mila, ben al di sopra delle aspettative degli analisti.
I dati sul mercato del lavoro ci mostrano e confermano un’economia resiliente, che potrebbe perciò lasciar spazio a minori tagli dei tassi d’interesse, così come prevede la Fed, a differenza degli investitori che credono invece a una politica monetaria molto più accomodante durante il 2024.
La Federal Reserve deve pertanto esser molto attenta alle sue prossime mosse future, monitorando molto attentamente la situazione finanziaria e il mercato immobiliare. Questi fattori insieme compongono il cosiddetto “effetto ricchezza”, il quale ha un’influenza indiretta sull’andamento dell’economia e, di conseguenza, sull’inflazione.
Powell non deve infatti commettere l’errore di guardare esclusivamente i dati macroeconomici, ma deve in parte tenere in considerazione anche il lato euforico dei mercati finanziari, dato che una prolungata bull-run azionaria nei prossimi trimestri potrebbe mettere in serie difficoltà la lotta all’inflazione. Allo stesso tempo, deve tenere in considerazione anche il ritardo con cui le politiche monetarie possono manifestare i loro effetti all’interno dell’economia.
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