La Federal Reserve ieri sera ha tagliato i tassi di 25 punti base rispettando le attese dei mercati. La novità che ha mandato in rosso i mercati è arrivata dalle nuove previsioni della banca centrale sul 2025. A settembre la Fed si attendeva quattro tagli dei tassi per l’anno prossimo mentre l’aggiornamento di ieri ne prevede solo due. Il principale indice azionario americano ha chiuso la giornata con un calo di quasi il 3%; il Dow Jones per la prima volta dal 1974 ha chiuso in negativo per la decima seduta consecutiva. Sono saliti i rendimenti delle obbligazioni americane ed è salito il dollaro che ha bucato il livello di 1,04 avvicinandosi alla parità.
In realtà, negli ultimi giorni le aspettative degli investitori si erano modificate incorporando un numero di tagli inferiore rispetto a dieci giorni fa. Ieri la Fed ha però stupito con toni più restrittivi delle attese escludendo la possibilità di tre tagli nel 2025. Significativo anche il dissenso della presidente della Fed di Cleveland Beth Hammack che ha votato contro il taglio di ieri.
Il cambio delle attese sul 2025 così rapido fa pensare a un ripensamento della Fed sulle decisioni dell’anno in corso. La Fed sembra ammettere di aver tagliato troppo in uno scenario di tenuta economica e dell’inflazione. All’inizio di dicembre Powell dichiarava che i rischi al ribasso sul mercato del lavoro si erano affievoliti mentre l’inflazione rimane sopra al 2%. La performance dei mercati azionari con i multipli sugli utili alle stelle e società con capitalizzazioni di migliaia di miliardi di dollari a multipli ancora più alti della media del mercato suggeriscono che la virata di ieri sera sia arrivata troppo tardi rispetto all’euforia dei mercati. Da qui in avanti per il Presidente della Fed Powell servono ulteriori progressi sull’inflazione prima di poter valutare nuovi tagli. I tagli fiscali, i dazi e la stretta sull’immigrazione che Trump ha dichiarato di voler perseguire tutto sono fuorché deflattivi. Gli Stati Uniti intanto continuano a registrare deficit che normalmente si vedevano o in periodi di recessione o durante le guerre. Il saldo delle partite correnti americano aggiorna valori negativi.
Nessuno sa veramente, tanto più in una fase geopolitica così volatile, cosa possa accadere e nessuno esclude che le ultime decisioni della Fed possano essere un altro errore di politica monetaria. Fatta questa premessa ci sono potenzialmente tutti gli ingredienti per alimentare i prezzi. Gli stessi indici azionari sono “inflattivi” e in altri periodi storici la discussione sulla relazione tra indici e prezzi era a pieno titolo parte del dibattito tra economisti. Gli squilibri dell’economia americana, per ora, non hanno avuto impatti né sui rendimenti dei titoli di stato, né sul dollaro; i risparmi globali continuano a essere attratti dai mercati finanziari americani. Il quadro potrebbe quindi evolvere verso una situazione di dollaro forte e tassi americani più alti mentre altre aree del globo, Europa in primis, arrancano.
Uno dei punti di caduta dell’equilibrio fragile dei mercati finanziari è l’inflazione. Tutto finora ha retto, soprattutto dall’altra parte dell’Atlantico, nella convinzione che si fosse su una traiettoria di inesorabile discesa dell’inflazione e che, quindi, si potesse immaginare una fase di taglio dei tassi. Il timore è che questa fase espansiva possa essere più breve della norma e che i mercati non siano pronti. Forse non sono pronti neanche i “partner” degli Stati Uniti. Ma questo è un altro discorso.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI