Il Presidente della Fed Powell ieri da Jackson Hole ha confermato l’inizio di un percorso di taglio dei tassi che prenderà il via con la riunione del 18 settembre. Per Powell l’inflazione è ormai diretta verso il 2% e il mercato del lavoro non è più inflattivo e si sta indebolendo; Powell specifica che la Fed non ha intenzione di accettare un “ulteriore raffreddamento del mercato del lavoro”. La conclusione è che “è arrivato il momento di cambiare la politica (monetaria)”. “La direzione del viaggio è chiara”, e i tempi e il ritmo dei tagli dipenderanno dai dati che arrivano, dall’evoluzione del quadro e dal bilanciamento dei rischi. Powell è convinto che l’economia possa tornare a un’inflazione del 2% mantenendo un mercato del lavoro forte. Questo è ovviamente il migliore dei mondi possibili.



Dopo le parole di Powell i mercati azionari hanno accelerato al rialzo, sono scesi i rendimenti delle obbligazioni, hanno accelerato le materie prime come petrolio e oro e si è indebolito il dollaro. Per i mercati il rallentamento economico prospettato ieri da Powell viene compensato dalle attese di tagli; peggiore il rallentamento, maggiore la frequenza e la dimensione dei tagli.



Il discorso di ieri ha avuto due parti in realtà. La prima ha riguardato l’analisi delle attuali condizioni economiche e la direzione che prenderà la Fed. La seconda è stata la cronaca dell’inizio, dello svolgimento e della conclusione di una fase inflattiva che non si vedeva da più di una generazione.

Powell ha ammesso l’errore di metà del 2021 quando, in ottima compagnia, si è creduto che l’incremento dei prezzi fosse un fenomeno transitorio. In questo racconto, oltre agli stress sull’offerta, hanno trovato ampio spazio riferimenti a politiche monetarie e fiscali eccezionalmente espansive. Per completare il quadro, oltre al discorso di ieri, di quanto accaduto negli ultimi anni si devono ricordare almeno due episodi di volatilità finanziaria: il primo è la crisi sui titoli di stato inglesi dell’autunno 2022 e il secondo è la mini crisi bancaria americana di marzo 2023. Entrambi gli episodi, generati dal rialzo dei tassi, sono stati curati facendo ampio ricorso alla liquidità. È apparso chiaro che il sistema è vulnerabile a rialzi dei tassi e che la volatilità finanziaria è potenzialmente distruttiva. Questa fragilità è figlia dell’alto livello di leva che si è accumulata negli ultimi decenni e che ha accelerato dopo il Covid.



Il quadro che si delinea è quello di un rallentamento economico di cui non si conosce la profondità che viene preventivamente affrontato con tagli dei tassi. Ieri sugli schermi dei mercati sono andati in onda fenomeni inflattivi. È sicuramente così, per ovvie ragioni, per il rialzo del petrolio e l’indebolimento del dollaro ed è così anche per i rialzi dei listini che impattano l’inflazione indirettamente sia come effetto ricchezza che sul mercato del lavoro. Più gli indici azionari americani si alzano, più e prima i lavoratori anziani escono dal mercato del lavoro. I limiti dell’indice ufficiale sull’inflazione che, per esempio, non include, se non molto indirettamente, l’aumento dei prezzi delle case trovano spazio nel dibattito accademico dagli anni ’80.

Emerge uno scenario in cui la banca centrale mette la stabilità finanziaria al primo posto insieme all’obiettivo di scongiurare recessioni acute. In un mondo in cui si accumulano forze inflattive strutturali, i deficit pubblici ai massimi, la deglobalizzazione, la transizione e le spinte demografiche per citare i principali, si sceglie di rischiare sull’inflazione. Questa però non è una soluzione agli squilibri in atto.

L’inflazione, come ha ricordato proprio ieri Powell, colpisce molto più duramente i redditi bassi e, aggiungiamo, scava sotto la superficie sacche di instabilità sociale che poi esplodono “inaspettatamente”. L’emblema del populismo, il fenomeno Trump del 2016, è l’ultimo pezzo di un percorso iniziato nel 2008 in cui la ripresa post Lehman ha lasciato a digiuno ampie fette della popolazione, ma, per esempio, ha alzato i prezzi degli immobili per tutti. Allora, a differenza di oggi, lo scenario di fondo era ampiamente deflattivo a causa della globalizzazione.

È difficile fare previsioni, tanto più in un quadro geopolitico così complicato, ma il quadro di fondo sembra delinearsi. Per scongiurare un mondo in cui tutti hanno un posto di lavoro, ma pochi arrivano alla fine del mese serve una soluzione politica che affronti il problema della leva e dell’indebitamento pubblico e privato perché, dati questi livelli di debito, l’unico modo per tenere insieme tutto nel breve e lasciare aperta l’inflazione nel lungo. I prezzi però si accumulano e scavano voragini nel potere d’acquisto dei salari.

 

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