La Fed ieri ha alzato i tassi di 25 punti base, come da attese, portandoli ai livelli più alti degli ultimi 22 anni; con l’undicesimo rialzo consecutivo i tassi sono ora in un intervallo compreso tra il 5,25% e il 5,5%. Il Presidente Powell ha dichiarato di avere intenzione di “mantenere la politica a livelli restrittivi per un po’ di tempo e di essere preparato ad alzare ancora”; la Fed rimarrà “dipendente dai dati” nei prossimi mesi. Per questo, dopo ieri, l’attenzione si sposta a venerdì quando verranno comunicati i dati sulla spesa per i consumi. Powell ha poi ricordato che la Fed continua a volere la discesa dell’inflazione “core”, al netto delle componenti più variabili come l’energia, e che questa “rimane ancora elevata”.



Almeno due cose non stanno sicuramente succedendo. La prima è che l’inflazione core, nonostante sia in discesa, è ancora alta. Il dato di giugno, l’ultimo disponibile, fino all’anno scorso, quando i prezzi sono esplosi, sarebbe stato il più alto dagli inizi degli anni ’90. L’inflazione scende lentamente ed è lecito chiedersi cosa possa succedere a partire dall’autunno quando la base di paragone diventerà più facile. I salari crescono a ritmi sostenuti e la politica fiscale americana rimane ultra espansiva. L’inflazione è ancora molto alta rispetto al ciclo precedente; è persistente ed è molto lontana da livelli soddisfacenti per la Federal Reserve.



La seconda cosa che non sta succedendo è la “crisi”. I dati sul secondo trimestre che vengono pubblicati in questi giorni sono ancora molto positivi e i manager delle società non dipingono scenari apocalittici. Spesso danno conto di un rallentamento rispetto ai profitti record del primo e del secondo trimestre, ma comunque segnalano conti ancora buoni o molto buoni rispetto alle medie di medio o lungo periodo. Questo è vero per i costruttori di auto, per le banche, per le costruzioni, per le aviolinee e gli aeroporti e per molti alti settori. L’Europa vive una stagione di crisi energetica, ma gli Stati Uniti di questo sanno poco o niente e infatti le città europee, se ne sono accorti i principali giornali europei e americani, sono piene di turisti a stelle strisce cui non sembra vero di spendere così poco.



Nell’orizzonte degli investitori potrebbe farsi largo un nuovo scenario in cui il ciclo si estende ulteriormente occupando buona parte del 2024. Questo significa che l’inflazione rimarrà alta e i tassi di interesse anche. La Federal Reserve continua a rimanere concentrata sulla lotta all’inflazione e per ora non rileva controindicazioni decisive né dagli sviluppi del mercato del lavoro, né dai profitti delle società o dall’andamento economico. Il mistero di questo ciclo economico così inusuale si può risolvere prendendo in considerazione una fase lunga di politiche monetarie espansive, che per esempio hanno schermato dai rialzi dei tassi le famiglie con mutuo a tasso fisso, e negli stimoli fiscali ancora abbondantemente superiori alla media. I rischi maggiori arrivano dal contesto geopolitico che invece di migliorare peggiora di mese in mese.

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