Fra le tracce proposte dal Miur per la prima prova della Maturita 2023, Tipologia B, testo argomentativo, anche testo tratto da “L’idea di nazione” di Federico Chabod. Un testo in cui si affronta la figura di Camillo Benso conte di Cavour, analizzando come il concetto di nazione e i valori ad essa connessi siano cambiato nel corso dei secoli
SVOLGIMENTO TRACCIA B1 – testo tratto da Federico Chabod, L’idea di nazione
SVOLGIMENTO
Nel Romanticismo europeo il principio di nazionalità è il sentimento e la speranza più nutrita da ciascuna nazione europea nascente. In Italia, per le contingenze storiche del tempo quali l’oppressione dallo straniero e la frammentazione politica, questo sentimento è inevitabilmente accompagnato dai principi di libertà politica e di unità, e ha come esponenti Camillo Benso conte di Cavour e Giuseppe Mazzini.
Il primo è un liberale che aspira al modello inglese o francese, pur mantenendo la monarchia come forma di governo. Cavour sa che serve una “libertà da” gli stranieri, per poter essere “liberi di” essere uniti. L’unità, sotto la monarchia, è la conseguenza naturale della libertà dei singoli stati italiani, ed è un requisito fondamentale per fare dell’Italia una nazione al pari di quella inglese e francese, progredite e moderne.
Il secondo è un repubblicano che concepisce la piena realizzazione della libertà nella forma della Repubblica. Lo stesso Manifesto della Giovine Italia enuncia tra le basi del progresso italiano Libertà, Unità e Indipendenza. In Mazzini si accompagna al concetto di nazione quello di Umanità, e l’Umanità intesa da Mazzini è l’Europa che sta nascendo in quegli anni. Umanità, quindi Europa, come Patria delle Patrie. In proporzione, spiega Chabod, i cittadini della nazione stanno alla nazione come le nazioni stanno all’Umanità. “La nazione non è fine a sé stessa: anzi! È mezzo altissimo, nobilissimo, necessario, ma mezzo, per il compimento del fine supremo: Umanità”: questa dichiarazione, oltre a rendere estremamente solenne l’idea di nazione, addirittura sacra, spiega la precedente citazione di Chabod tratta dall’appello ai Giovani d’Italia del 1859 “Adorate la Libertà”, quasi come se la libertà fosse un idolo pagano. Come si adora un idolo, si prega una divinità, per intercessione, per speranza nutrita verso un fine che è stato promesso all’uomo, un fine di Bene, così la Libertà va adorata, le si chiede di intercedere per raggiungere un Bene più grande, che appunto per Mazzini e Cavour, nonostante la diversa opinione politica di questi due uomini ugualmente grandi, è lo stesso: la partecipazione all’Europa.
L’Europa per gli uomini ottocenteschi rappresenta l’orizzonte più ampio del mondo moderno, delimitato dall’Oriente, dagli imperi coloniali e dalle Americhe, paesi ancora lontani dall’idea di libertà, modernità, identità intese alla maniera occidentale, perché ancora fortemente subordinati all’Occidente. Perché altrimenti Cavour dovrebbe anelare a fare dell’Italia uno stato al pari di Inghilterra e Francia? Perché sono paesi modernamente sviluppati, ma soprattutto paesi in cui è viva la consapevolezza di un’identità nazionale che le rende popolo, parlanti una stessa lingua, eredi di una stessa storia e in cui è condivisa la stessa cultura.
Mazzini definisce la nazione come unità di storia, lingua e cultura. Tutti gli italiani che si interrogano sullo scarto tra l’Italia e il resto del mondo moderno aspirano a questa unità. Manzoni, ugualmente affascinato dalla Francia, si stupisce che il popolo francese “applaude alle commedie di Molière”, che simbolicamente rende conto del comune trasporto del pubblico, che condivide lingua per intendere e sentimento per commuoversi a teatro. E tutti gli italiani aspirano alla libertà dallo straniero, una “libertà da” che permette una propria identità.
Esemplare incarnazione di questo sentimento è l’arte romantica italiana, che in scultura vede eccellere Vincenzo Vela, autore dello Spartaco creeato proprio durante la prima guerra di indipendenza italiana: il richiamo leggendario allo schiavo che titanicamente si ribella alle guardie romane e alimenta una rivolta a Capua. E anche se il soggetto è tratto da secoli di storia precedente, l’enfasi sentimentale è massima, perché Spartaco è parte di un repertorio comune nell’immaginario italiano, e in chiunque è in grado di accendere lo stesso senso di ribellione dalle catene.
Ma c’è qualcosa di più. L’Umanità comprende anche qualcos’altro oltre all’Europa come entità simbolo di modernità e coscienza identitaria. Dire che l’Umanità è la Patria di tutti ha un significato che trascende significati strettamente politici e di identità nazionale. La letteratura delle origini ci viene in aiuto per mettere a fuoco questa idea di patria. È significativo che nell’epica di Omero, ai cui tempi ancora non si aveva idea dei concetti di nazione, modernità, Europa, si parlasse di Patria come qualcosa che lega l’individuo, eroe o uomo comune che fosse, a un luogo a cui poter tornare, a cui cercare di tornare nonostante le mille traversie fantastiche che ci vengono narrate nell’Odissea.
Il nostos, il ritorno in patria degli eroi achei, di Ulisse in particolare, ha come fine ultimo la Patria. Il desiderio di raggiungerla è nutrito appunto di nostalgia, parola che condivide con nostos la radice e quindi il significato più profondo, sentimento di mancanza e insieme appartenenza a qualcosa. La patria è il luogo degli affetti, è il luogo delle attese, di chi aspetta, di chi resta. L’attesa è una ferita che aspetta di essere riempita, un’immagine che può essere figurata dalle “Attese” di Lucio Fontana.
Lo stesso Fontana, parlando di una delle sue “Attese” descrive i tagli come i “personaggi del paesaggio”, facendo riferimento all’opera di Umberto Boccioni “Stati d’animo. Quelli che restano”, ultimo elemento di un trittico preceduta da “Addii” e “Quelli che vanno”. La Patria aspetta che il suo eroe omerico torni a casa per poter colmare la propria ferita, la propria lacerazione. Quelli che restano sono in uno stato di attesa, attesa del ritorno di chi è partito. E nell’Ottocento di che Patria si parla? Chi aspetta la Patria romantica attraversata da guerre, imperialismi, dinastie secolari prossime alla loro fine?
Qui l’intuizione geniale suggerita da Chabod è espressa dal binomio Patria-Umanità. Umanità, per definizione, è “il complesso di tutti gli esseri umani, il genere umano”, ma anche “il sentimento di solidarietà, di comprensione, di indulgenza verso gli uomini” (Treccani). È quello di più profondo e identitario che c’è nell’uomo, da sempre. Nella coscienza di un risorgimentale, di un uomo ottocentesco, c’è l’idea di un luogo che insieme sia di appartenenza ma anche di ritorno, “casa”, dove poter essere sé stessi. In questo senso la nazione si fa strumento, mezzo per il raggiungimento dell’Umanità: l’avere un luogo che sia insieme rappresentativo di una moltitudine nella sua identità e unità permette di accedere a una coscienza superiore di Patria che trascende i confini delle singole nazioni.
Questo non significa attribuire a Umanità e quindi Patria uno spirito cosmopolita, ma la coscienza che l’uomo ottocentesco inizia ad avere del mondo nel momento in cui capisce di poterlo viaggiare, esplorare: una coscienza di scoperta, del mondo ma anche di sé stesso. Basti pensare a Gaugin, pittore francese che abbandona la Francia per andare alla ricerca di un luogo in cui ritrovare le proprie origini, la propria identità: si palesa in questo esempio l’idea di Patria sinonimo di Umanità che trascende i confini nazionali. Gauguin viaggia in Bretagna, Olanda, Tahiti e Isole Marchesi, in Polinesia, ultimo luogo da lui visitato e dove morirà. “Umanità che è la Patria delle Patrie, la Patria di tutti. Senza Patria, impossibile giungere all’Umanità” è esemplificata qui dalla ricerca di un artista, un uomo, che vuole riscoprire le proprie origini, la propria identità nell’infantilità dell’indigeno. La Patria al tempo dei romantici aspetta un uomo che è in viaggio alla ricerca di sé. È una patria non delimitata da confini politici, una patria estesa di tutti, in modo indistinto.
Il concetto di nazione nasce nel Ottocento, dal sentimento degli uomini romantici di essere liberi da usurpazioni straniere e dalla volontà di rendere esplicita l’unità che lega un popolo. Tale unità infatti non va cercata, ma solamente ritrovata per il fatto che si rende manifesta a partire da piccole cose, come i repertori culturali e dell’immaginario, a grandi cose, come le istituzioni di uno stato. Questa unità però non può prescindere da una precisa forma politica, ne sono esempio i due eroi rinascimentali italiani, Cavour e Mazzini, nutriti dalla stessa volontà di indipendenza e unità ma schierati in due orientamenti politici opposti. E pian piano tutta l’Europa riesce a raggiungere lo statuto di “nazione” nel giro di pochi decenni.
Di comune c’è sempre sottesa la ricerca della propria origine come costitutiva dell’identità, motivo per cui nell’arte si ha il ritorno dell’immaginario figurativo medievale, perché nel Medioevo vengono collocate le storie, leggende e miti di fondazione dell’identità di un popolo. Il cosiddetto “folklore” che sopravvive in letteratura fino alla definitiva affermazione della nuova tendenza, il cosiddetto romanzo borghese che mette a tema dei motivi di modernità quali la vita borghese, il proletariato o temi di introspezione psicanalitica. Questo repertorio di immagini è sedimentato nelle coscienze degli uomini ed è strutturale dell’identità di un popolo.
Pensando all’Italia, ogni momento di crisi è seguito da una fase di “ritorno all’ordine” che vede la ripresa di quei motivi costitutivi dell’immaginario individuale e comune, che è il repertorio classico. L’immaginario comune di un popolo, e di una nazione, è la Patria a cui gli individui tornano per ritrovare ordine e ricostruire la società. Basti pensare, come esempio paradossale, al fascismo prima che diventasse dittatura nel primo dopoguerra: il movimento si pone come restauratore dell’ordine pubblico, motivo per cui molti intellettuali aderiranno poi al partito quasi come bisogno personale di riedificazione, ne è un esempio Carlo Emilio Gadda. Consolidandosi, il fascismo attinge al repertorio figurativo classico che viene impiegato nella propaganda. La motivazione di ciò deve sicuramente tenere conto della volontà di far sovrapporre la dittatura col periodo fiorente dell’impero romano, ma c’è di più: si tratta di un repertorio condiviso, conosciuto da tutti e che soprattutto rende fieri di essere cittadini italiani.
La libertà è il secondo elemento necessario individuato dai risorgimentali per fondare la nazione. È l’elemento che ne permette l’espressione. Una nazione non può considerarsi tale se non è libera: basti pensare agli stati ottocenteschi attualmente indipendenti ma al tempo sottomessi a stranieri. Quei popoli non potevano considerarsi nazione ma come persone di cui un altro popolo può disporre per portare avanti il lavoro, l’economia, il commercio. Un popolo non libero è usato per costruire la grandezza di un altro popolo. In questo senso la libertà è essenziale per una nazione. Dalla libertà deriva espressione, che sia individuale o collettiva, di un’idea diversa da quella di a chi si è sottomessi. L’arte italiana nel periodo risorgimentale è un tripudio di espressione contenuta, limitata. Pensando ad Hayez, pittore romantico, si hanno dipinti che esprimono la volontà e il desiderio di ribellarsi all’oppressione ma senza che questa volontà sia resa esplicita: mai un riferimento all’oppressore austriaco, ma a fatti della storia italiana che hanno visto usurpazioni da parte di stranieri. Una muta espressione che tradisce il desiderio di molti. Una nazione contemporaneamente afferma e permette la libertà di un individuo che ha la consapevolezza di essere parte di qualcosa di grande.
(Chiara Polelli)