Era rimasto in silenzio per rispetto nei confronti della famiglia di Marco Vannini, ma ora Federico Ciontoli decide di parlare. Lo fa oggi ai microfoni de Il Dubbio, spiegando che proprio quel silenzio può essere «tra i fattori che hanno influenzato l’andamento del processo». Quel silenzio, per il figlio dell’uomo che sei anni fa cagionò la morte del 20enne di Ladispoli, «è stato utilizzato per raccontare i fatti in maniera unilaterale e spesso distorta». Federico Ciontoli, che tra qualche mese potrebbe finire in carcere perché condannato dalla Corte d’Assise d’Appello di Roma a 9 anni e 4 mesi per concorso anomalo in omicidio volontario, ritiene di aver «trovato queste distorsioni anche nelle motivazioni dell’appello bis». Dunque, in attesa che la Corte di Cassazione torni a pronunciarsi, in un verdetto atteso in estate, ribadisce la sua verità: «Io sono innocente». Addolorato per la morte di Marco Vannini, è però convinto che la verità sia un’altra.
«Non mi possono condannare alla morte sociale, non possono volontariamente negare la verità. Tutto ciò non può, credo, appagare un dolore». Quattro gradi di giudizio raccontano un’altra storia, ma Federico Ciontoli si sente «condannato con pregiudizio». Di sicuro, se potesse tornare indietro con le consapevolezze che ha ora, non agirebbe allo stesso modo. «Io ho fatto tutto il possibile con gli elementi a disposizione in quel momento».
FEDERICO CIONTOLI “LA MIA VITA DOPO LA TRAGEDIA”
Federico Ciontoli racconta anche la sua vita dopo la tragedia. All’epoca stava preparando la tesi per la laurea magistrale, dopo aver conseguito quella triennale in ingegneria energetica, ma ha interrotto. «Avevo intrapreso anche gli studi di filosofia e lavoravo come sviluppatore informatico ma mi hanno licenziato per la pressione mediatica». Da quel momento non ha trovato più lavoro. «Adesso faccio il volontario, ma anche intraprendere questa strada non è stato facile perché alcune organizzazioni non se la sono sentita di accogliermi per il possibile impatto mediatico». Anche psicologicamente non è stato facile. «Non può capire quanto è straziante la solitudine che mi ci circonda in alcuni momenti: ho l’amore di Viola, gli amici veri mi sono rimasti vicini ma le assicuro che la mia vita è fatta di solitudini», ha proseguito a Il Dubbio. E a soffrire in solitudine è ogni membro della famiglia Ciontoli. Non vivono più insieme, ma sparpagliati, per evitare che la stampa scopra dove sono. Lui poi vive con la paura di ritorsioni, anche alla luce delle molteplici minacce ricevute: «Ancora oggi quando cammino per strada, mi muovo a zig zag perché temo che ci sia qualcuno che mi segue e che mi vuol far del male».
“GOGNA MEDIATICA HA ALIMENTATO ODIO”
Tutto ciò chiaramente non è paragonabile alla morte di Marco Vannini e a quello che per questo stanno vivendo i genitori della vittima. Ma d’altra parte Federico Ciontoli assicura che non c’è una gara sulla conferenza. Vuol semplicemente far comprendere quello che stanno attraversando. «Quella notte nessuno ha mai pensato che Marco potesse morire. È vero, mio padre ha mal gestito quella situazione ma questo non vuol dire che noi dobbiamo smettere di esistere agli occhi degli altri». Il figlio di Antonio Ciontoli lancia poi accuse alla stampa per come ha agito. E nell’intervista a Il Dubbio ha citato una troupe di Chi l’ha visto che lo avrebbe «quasi assalito», l’inviato de Le Iene Giulio Golia rimasto sotto casa sua due giorni e Chiara Ingrosso di Quarto Grado che lo ha «seguito per le strade di Roma». Ciò, che definisce non-giornalismo, ha influito, condizionato anche la percezione dell’opinione pubblica. «La gogna mediatica ha alimentato l’odio verso di noi con opinioni e ricostruzioni che contraddicono i fatti, e qualsiasi informazione alternativa, anche se vera, viene silenziata». Federico Ciontoli a tal proposito evidenzia che nelle motivazioni non ci sono prove processuali ma elementi apparsi in tv.
FEDERICO CIONTOLI E LE BUGIE DEL PADRE
«Non è vero che abbiamo lavato il sangue di Marco, che fosse copioso è un’invenzione, e non è vero che ci siamo messi d’accordo, non esisteva un piano di cui si parla tanto», ha aggiunto Federico Ciontoli. Lui comunque quando è partito il colpo d’arma da fuoco e ha trovato il bossolo è andato dal padre per dirgli di chiamare subito i soccorsi. Mentre il padre li chiamava, inventandosi però una bugia, lui corse a prepararsi per aspettare l’ambulanza in strada. Solo in macchina il padre gli avrebbe confessato di non aver detto la verità ai soccorritori. «Io mi infuriai con lui e gli dissi di dirlo subito ai medici. Appena arrivati al Pit mi rivolsi ai genitori di Marco e gli comunicai che era partito il colpo. Ma mai avrei immaginato che Marco potesse morire». Federico Ciontoli smentisce inoltre di aver pulito l’arma con cui sarebbe partito il colpo. «Gli elementi a disposizione ci dicono che le impronte ci sono, sono molteplici ma non si riesce a dire a chi appartengono. Ma questo perché mio padre purtroppo ha sparato e poi io le ho prese per metterle in sicurezza». Riguardo la tesi, di cui è convinta ad esempio la mamma di Marco Vannini, che sia stato proprio lui a sparare e non il padre, ha replicato: «Questa cosa non esiste e, in più, dai dati processuali non emerge che io abbia sparato a Marco, l’ipotesi è stata scartata. Perché se ne continua a parlare?».
ATTACCO A STAMPA E POLITICA “DOLORE STRUMENTALIZZATO”
Federico Ciontoli ha tante cose da rimproverare al padre, ma è comunque convinto che abbia agito in quel modo, sbagliando, perché non immaginava che Marco Vannini sarebbe morto. In vista della sentenza della Cassazione, vive con rassegnazione e paura, ma non per il carcere. «Se dovrò andarci, vorrà dire che porterò la mia battaglia avanti da lì dentro». Ciò nella consapevolezza che la sua libertà sia nelle mani della stampa e di alcuni politici, non della giustizia. Ha fatto i nomi di Elisabetta Trenta, ex ministro della Difesa, che si è presentata in aula il giorno della sentenza, di Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia, che ha incontrato i genitori di Marco Vannini, di Matteo Salvini, leader della Lega che si è espresso contro la famiglia Ciontoli. Ma non sono neppure gli unici politici che hanno preso posizione sul caso, ricordiamo ad esempio anche Alessandro Di Battista. «La stampa ha narrato i fatti senza alcun rispetto delle garanzie di noi imputati e distorcendo anche gli elementi che ormai in dibattimento erano cristallizzati», spiega Federico Ciontoli a Il Dubbio. Così si sarebbe creato uno schieramento d’opinione che i politici avrebbero usato per raccogliere consensi. Il risultato è una confusione che ha condizionato anche la famiglia della vittima. «La stampa ha strumentalizzato il dolore della famiglia di Marco, hanno sfruttato la loro sofferenza per creare altra sofferenza e creare una frattura tra la mia famiglia e quella di Marco».