Il 2020, centenario della nascita di Federico Fellini, si è chiuso con la pubblicazione del libro Fellinaria – La Roma di Fellini – I giorni, i luoghi, i personaggi (Aliberti editore), dal 16 dicembre in libreria. L’autore, Enzo Lavagnini, critico e studioso di cinema, scrittore e sceneggiatore, non è la prima volta che si occupa dell’autore de La dolce vita. Nel suo romanzo Il giovane Fellini. Nello splendente fulgore della vita (Roma, Palombi, 2011) ne fa, addirittura, il protagonista di un giallo ambientato nei primi mesi dell’arrivo a Roma di Federico, nel gennaio del 1939. L’avventura, iniziata il 4 gennaio di quell’anno con l’arrivo in treno a Roma di Federico che, come Moraldo alla fine de I Vitelloni, ha lasciato Rimini per un viaggio senza ritorno, durerà tutta una vita, fino al 1993, anno della morte. Roma diventerà la sua città e tutti i suoi film saranno girati nella Capitale o nei dintorni, arrivando solo per La voce della luna a girare in Toscana.



Il rapporto di Fellini con Roma è ben descritto dalle contraddittorie opinioni che sono poste come epigrafi all’inizio del libro. Secondo Orson Welles “Fellini è un ragazzo di provincia che non è mai realmente arrivato a Roma. Ne sta ancora sognando. E dovremmo essere tutti riconoscenti per quel sogno“, mentre al contrario Georges Simenon ritiene che “Diversamente da Lei, caro Fellini, ho passato la vita a partire, forse perché non ho mai messo radici: io non appartengo a nessun paese, mentre lei è, e probabilmente resterà per sempre, innanzitutto, romano”. E, forse, hanno ragione entrambi. Il vitellone sognatore di Rimini non è cambiato, ha solo messo radici a Roma trovandosi a suo agio e riconoscendosi nella weltanschauung (concezione del mondo) romana, che non prende sul serio nulla e nessuno, tantomeno se stessi.



Le radici romane di Fellini, che dal 1939 al 1993 farà della Capitale il suo centro di vita e di lavoro, senza mai allontanarsene, se non brevi viaggi per ritirare premi (Venezia, Cannes, Los Angeles, Tokyo), sono state analizzate con un lavoro certosino da Lavagnini che ha studiato tutti i libri dedicati a Fellini o da lui scritti, ha letto gli articoli e i pezzi su Fellini o di Fellini, pubblicati su quotidiani e periodici, e, alla fine di questo immane lavoro di schedatura, ha ricavato gli elementi per descrivere in modo sintetico la lunga (54 anni) avventura romana di Fellini nel tempo, nello spazio e attraverso le relazioni con i personaggi che hanno popolato la sua vita a Roma. 



Nel libro i vari frammenti di vita sono riuniti in una cronologia, appunto dal 1939 al 1993, simpaticamente chiamata Lunario romano, cioè come gli almanacchi popolari di un tempo, con tutte le tappe dell’odissea romana di Fellini: la prima visita alla redazione del Marc’Aurelio, la rivista umoristica, fucina di autori e registi; la prima volta a Cinecittà per intervistare Osvaldo Valenti per la rivista Cinemagazzino, diretta da un sarto; il primo incontro con Aldo Fabrizi sempre per un intervista; l’incontro con Giulietta Masina, ecc. Si scopre cosi che a piazza di Spagna, nel 1944, durante una retata, Fellini viene caricato su un camion dai tedeschi, ma riesce a fuggire e quando torna a casa, la Masina, in ansia da ore, correndogli incontro, cade per le scale e perde il bambino che aveva in grembo. Per ogni data citata viene descritto l’evento in modo accurato: la conferenza stampa di presentazione di un film a due mani sull’eros con Ingmar Bergman, che non si farà; il giorno in cui vede una foto di Anita Ekberg e quello, indimenticabile, in cui la vedrà di persona; e così via, tra Oscar, Palme d’oro e Leoni, fino all’ultimo pranzo presso il ristorante Il Bersagliere, a Porta Pia, e poi l’ultimo appuntamento con la morte, alle 12 del 31 ottobre 1993, al Policlinico Umberto I.

Dopo il lunario, il libro prosegue con una guida alla Roma felliniana con l’indicazione dei bar, pasticcerie, ristoranti, cinema, teatri, night-club, librerie, piazze e luoghi pubblici (per esempio, la mitica Casa del passeggero a Termini, da cui partiva il trenino per Cinecittà) frequentati da Federico nella Capitale. Per ogni luogo, come per il Lunario, vi è una citazione, una testimonianza, un racconto. Sono poi elencate e illustrate tutte le case, proprie o altrui, nonché alberghi e pensioni, nelle quali Fellini ha vissuto e poi i luoghi di lavoro (in ordine cronologico di contratto!), gli stabilimenti, i teatri di posa, gli uffici, gli studi di doppiaggio e di montaggio, le redazioni. Ma per completare l’atlante romano-felliniano c’è anche una guida ai luoghi romani immaginati, cioè quelli che compaiono nei suoi film: l’inesistente alberghetto a Trinità dei Monti degli sposini de Lo sceicco bianco; le spiagge e le strade di Ostia, spacciata per Rimini nei Vitelloni; la via Veneto ricostruita in studio per La dolce vita; la Metropolitana o il Raccordo anulare, anch’essi di cartapesta, in Roma. 

L’ultima guida è quella sui personaggi veri o verosimili (in ordine di apparizione). Il primo è Ferrante Alvaro De Torres, il redattore del Marc’Aurelio che Federico conobbe sulla spiaggia di Rimini. Poi c’è il pittore Rinaldo Geleng che, mentre andava al Marc’Aurelio per piazzare qualche vignetta, è attratto dai supplì in vetrina da Canepa, una rosticceria sotto la sede del periodico, e uno magro come un fantasma, che Geleng non conosceva, gli chiede “Quanti soldi hai? Io giusto per un supplì“. E cosi si comprano 4 suppli, li dividono e poi salgono al Marc’Aurelio incontro al futuro che condivideranno. 

Il personaggio successivo è, giustamente, Vito De Bellis, il direttore del Marc’Aurelio, il padre del cinema italiano, visto che nella sua redazione ha allevato Scola, Steno, Fellini e quasi tutti gli sceneggiatori di film comici. Il viaggio tra i personaggi è veramente divertente e pieno di sorprese. Si scopre, così, alla voce Totò che Fellini lo diresse in una scena di Dov’è la libertà per fare un piacere a Rossellini. Si fa la conoscenza di Gibba e Kremos, gli animatori con i quali Fellini ha lavorato nel 1944 a un cartone animato, Hello Jeep, che doveva essere abbinato a Roma città aperta, la cui sceneggiatura era di Fellini e Amidei. La segretaria Liliana Betti, il Ciriola, bagnino dei Bagni al Ciriola sul Tevere, il carrellista Menicuccio, il paparazzo per antonomasia Tazio Secchiaroli, le prostitute Bomba Atomica e Wanda, il capo attrezzista Metalli, la comparsa Rolando de Sanctis detto Chiodo, oltre a produttori, registi, sceneggiatori, scrittori, critici, poeti come Pasolini, attrici come Anita Ekberg, che all’inizio giudicava Fellini un matto, uno che non voleva fare un film con lei ma se la voleva fare (e, in parte, aveva ragione), sono tutti personaggi del mondo reale felliniano, ma potrebbero far parte di quello immaginario. L’ultimo personaggio citato è Steven Spielberg, che Federico conosceva dai tempi di Duel e con il quale si scrivevano e telefonavano regolarmente, perché gli ha inviato l’ultima lettera che Fellini lesse prima di morire.

Per chi conosce Roma è un vero piacere immaginarsi Fellini in tanti luoghi che vivono nella memoria comune dei romani e scoprire quanto profondamente i luoghi e i personaggi di Roma lo abbiano ispirato. Per chi non conosce Roma questa guida diventa un’opportunità per scoprirla o anche solo per immaginarla

Le tantissime citazioni e descrizioni sono come i pezzi di un gigantesco puzzle. Ogni tessera, però, potrebbe espandersi con sempre nuovi particolari sui luoghi e sulle caratteristiche dei personaggi descritti, diventare materia per mille altre storie. Inizialmente, infatti, si può avere l’impressione che si potrebbero rimescolare le tessere e ottenere tanti universi felliniani alternativi, ma poi, alla fine del libro, ci si rende conto che, come nei puzzle, ogni tessera ha il suo posto unico e si incastra in un unico modo, rivelando quella inimitabile avventura, cosi ricca di risultati, che è stata la vita di Federico Fellini a Roma.