Quella tra Federico Fellini e Georges Simenon è una delle più profonde amicizie tra due maestri che gli annali recenti ricordino, cominciata nel 1960 – quando il secondo premiò il primo al Festival di Cannes – e finita solo con la morte del francese il 4 settembre 1989. Su questa amicizia si sono accesi i riflettori quando il loro fitto e bellissimo carteggio è stato pubblicato nel 1998 da Adelphi (Carissimo Simenon, Mon Cher Fellini) e poi reso pubblico dal museo di Simenon a Liegi e dal Museo Fellini a Rimini.
Alla Festa del cinema di Roma è stato presentato Fellini, Simenon – Con profonda simpatia e sincera gratitudine, un breve documentario (un’ora di durata) diretto da Giovanna Ventura per la Rai che avrebbe dovuto fare il punto su questa amicizia, raccontarla e mostrarla, ma che invece si rivela un’occasione persa in modo un po’ goffo.
Il film, sulla scorta di quel libro, di cui Francesco Pannofino legge vari stralci, si limita a sovrimporre immagini di repertorio alle parole lette, seguendo più o meno la carriera di Fellini da La dolce vita fino a La voce della Luna che coincide con l’anno della morte di Simenon, immagini peraltro già viste e tutt’altro che inedite, così come quelle parole sono già sentite.
Potrebbe essere comprensibile, perché il pubblico a cui è rivolta è quello televisivo, ma qui manca del tutto il senso di un’operazione o di una direzione, non c’è un approfondimento su quell’amicizia, non se ne racconta la storia né si ragiona di cinema e letteratura a partire da quella, se non per qualche vaga frase di Valerio Magrelli, tra le pochissime teste parlanti del film.
È una raccolta di frammenti a partire da un pretesto che resta tale, come fosse il tappabuchi di un palinsesto televisivo, fatto con superficialità nell’utilizzo dei ritagli, senza ricerca e sembra anche senza troppa passione. Un torto che due artisti come Fellini e Simenon non si meritavano.
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