“Per quanto alcune statistiche pongano l’Italia tra le prime posizioni in Europa per numero di donne uccise, sul fenomeno ‘femminicidi’ occorre esprimersi con prudenza. E, soprattutto, saperlo circoscrivere bene”. Lo afferma Luca Pantanella, Segretario Generale Provinciale Torinese del Sindacato FSP Polizia di Stato, carica che ricopre insieme alla Presidenza di Alsil Onlus (Associazione per la Legalità e la Sicurezza sul Lavoro) e dell’Osservatorio Economico FMPI (Federazione Medie e Piccole lmprese), intervenendo sulla vicenda di Giulia Cecchettin. Ecco che cos’ha raccontato in esclusiva ai microfoni del Sussidiario.



Buongiorno, Dottore. Quale il suo pensiero a riguardo?

Ha ragione il Prefetto di Padova Francesco Messina quando afferma la necessità di tracciare un chiaro “distinguo” nell’applicare una giusta definizione agli omicidi perpetrati verso la donna. Perché sia femmicidio, deve realizzarsi appieno la condizione fondamentale del cosiddetto “movente passionale”: senza la quale, il discorso cade. E parliamo, per l’appunto di altro.



Siamo quindi innanzi, secondo lei, a un’espressione impropria?

Certamente, per la maggiore, sì. Nonostante c’è chi si ostini forzatamente a ribadire, per motivi probabilmente strumentali e al sottoscritto ignoti, che nel nostro Paese abbiamo toccato quota 105 femmicidi: mentre, in realtà, il numero reale dei reati così appellabili è pari a molto meno di 50. Fatto comunque gravissimo da arginare con tutte le risorse possibili.

Perché, Pantanella?

Il rischio maggiore è quello correlato a una corretta informazione pronta a creare gravi ricadute di concetto e di prospettiva nell’opinione pubblica, che poi le amplifica in maniera inarrestabile ingenerando pericolose forme di confusione. Occorre sempre partire da definizione sana e appropriata. Come nel caso del termine “patriarcato”, entrato appieno nel mainstream mediatico dominante in funzione punitiva anziché comprensiva, che ben si addice invece al delitto di Saman Abbas. La nostra è una società che prosegue sulla strada dell’antico detto latino del Divide et Impera attribuito a Filippo Il Macedone. La logica è sempre quella di un capro espiatorio terzo fra le parti in gioco, e mai la ricostruzione attendibile e pedante di un fatto.



Al posto di questo parola, lei, invece, che cosa propone?

Di sostituirlo con “sociopatia”. La storia della criminologia italiana e internazionale insegna ricorrentemente con frequenza che il problema sta nel mancato e corretto inserimento sociale dell’autore del femminicidio. Spesso e volentieri si tratta di individui disistimati, alienati. Privi di identità personale e sociale insieme, di legami forti, che manifestano forme di disagio già in tenera età. Incapaci di autorealizzazione, inclini al fallimento e all’insuccesso. Ma soprattutto, alle dipendenze emotive, che poi esplodono. Che sfuggono in primis ad amici e famiglie. E che i genitori ignorano proprio perché privi a loro volta di una reale capacità educativa e di osservazione critica nel tempo. Sono lontani i modelli educativi di San Giovanni Bosco.

Mamma e papà hanno fallito, quindi?

Sì, molto spesso sì. Infatti il vero dramma sta qui. Oggi preferiscono giustificare e assecondare piuttosto che rimproverare, correggere e raddrizzare.

Pensa sia così anche per la famiglia di Filippo Turetta?

La prima vittima è proprio il padre che, con genuina ammissione, l’ha definito più volte “un bravo ragazzo”. È la logica del gioco di specchi, che abbaglia e illude già dentro le mura di casa. Oggi sacrificio, confronto, anche il più autorevole dei “no'”sono completamente scomparsi dal linguaggio familiare. Il liberismo, l’individualismo sfrenato, il relativismo dei valori hanno fatto strage anche qui. Scomparsi. Svaniti. Sepolti e spacciati quali atteggiamento retrò. Tutto uguale, tutto globale. Meno si pensa, meno ancora si vigila.

Patriarcato e femminicidio: quale rapporto, per lei?

Il primo in Italia è scomparso ormai da almeno quarant’anni. E allora vi era forse l’1% di femminicidi rispetto a oggi. Ci sono molti motivi per cui un uomo può uccidere, specialmente una donna. II femminicidio, ripeto è uno fra i tanti. E va sempre verificato con cura. La verità è un’altra, semmai.

Quale, Pantanella?

Serve, ripeto, un colpevole esterno alla vicenda che sposti l’attenzione su vasta scala, ed ecco servito a puntino e spiegato il vocabolo. La mia paura è che, in un’epoca percorsa e solcata da continue e doverose richieste di parità di genere, si possa incorrere in un potenziale asservimento del termine a interessi di parte. Pagati con il sangue di una ragazza innocente.

Dunque, come uscirne?

Manipolazione, possesso, violenza e ossessione sono un’equazione sempre verificata. Nessuna seconda chance a un uomo che si comporta così, ma solo assenza, distacco, coraggio e denunce anche per evitare che esso possa potenzialmente nuocere ad altre vittime.

(Maurizio Scandurra)

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