Era un genio. Ferdinand Piëch, scomparso nei giorni scorsi improvvisamente all’età di 82 anni, dopo una cena al ristorante e un’inutile corsa in ospedale, è stato per metà della sua vita il nipote di Ferdinand Porsche, il creatore del Maggiolino e dell’industria automobilistica tedesca, mentre nell’altra metà della sua esistenza ha superato per capacità, realizzazioni e fama il nonno. È stato ai vertici del Gruppo Volkswagen per 40 anni ed era un ingegnere, un industriale, un visionario. Ma soprattutto amava le automobili, i motori. Era determinato a costruirne di straordinarie ed era affascinato da tutti coloro, specie gli italiani, che erano in grado di realizzarne di bellissime. Per questo fece acquistare dal gruppo sia Lamborghini che Ducati (acquisita il giorno del suo 75esimo compleanno) e avrebbe fatto carte false per poter fare la stessa cosa con Alfa Romeo o Ferrari.
Amava le automobili e le conosceva come pochi, come possono testimoniare coloro che hanno avuto la fortuna di stargli vicino in quelle sessioni di prove delle auto della concorrenza organizzati per le primissime linee del gruppo Volkswagen. I suoi commenti, in quei frangenti, erano i più puntuali, i più corretti, i più approfonditi. Al loro confronto quelli degli altri sembravano quasi fatti da un automobilista qualunque.
Una condizione quasi naturale per un uomo che veniva dalla una stirpe di “automobilari” e che si era laureato in ingegneria con una tesi su un motore da Formula 1. Dopo gli studi diventò responsabile del centro sviluppo di Porsche, l’azienda di famiglia, e in poco tempo riuscì quasi a farla fallire investendo la maggior parte del budget di ricerca nella costruzione 25 modelli (il minimo per partecipare alle competizioni dei Sportprototipi) di 917 che montava il primo 12 cilindri della casa di Zuffenhausen e viene ricordata anche per essere la protagonista del film Le 24 Ore di Le Mans prodotto, girato e interpretato da Steve McQueen. L’auto all’inizio era letteralmente inguidabile, ma lanciò un guanto di sfida nel mondo delle supercar che Enzo Ferrari raccolse vendendo metà della sua azienda a Fiat per poter realizzare altrettanti modelli di 512P.
Furono anni di grandi battaglie in pista con la 917 che vinse due volte il campionato e due volte Le Mans con un record di velocità e percorrenza che rimase imbattuto per quasi 40 anni. Un esordio col botto per il giovane Piëch, che mentre la “sua” auto vinceva era già lontano, prima in uno studio tutto suo di ingegneria e poi a Ingolstad, la sede dell’Audi, dove ricopriva la carica di caporeparto dello sviluppo tecnico. Con lui l’azienda che era stata molto vicino al fallimento, piano piano rinasce. È lui il padre della trazione integrale, la famosa Audi Quattro o del telaio in alluminio ed è lui che prima entra nel consiglio d’amministrazione di Audi, otto anni dopo diventa amministratore delegato dell’azienda e nel 1993 va a ricoprire la stessa carica nella capogruppo Volkswagen.
Era spietato con i collaboratori e un perfezionista al limite del maniacale. Avete mai visto un amministratore delegato che misura personalmente la distanza tra le portiere e la carrozzeria di un nuovo modello? Beh Piëch lo ha fatto con la Golf disegnata da Giugiaro e si è guadagnato il nomignolo di “Fugen-Ferdi”, il Ferdinando delle fessure. Con le sue manie e il suo intuito è rimasto al vertice del gruppo per altri 22 anni e a lui si deve la crescita dell’azienda, la scelta degli uomini, le decisioni che hanno fatto diventare Volkswagen il primo costruttore la mondo. La sua impronta è rimasta ovunque persino dopo che perse la battaglia con l’allora amministratore delegato Martin Winterkorn (il principale responsabile dello scandalo Dieselgate) e si dimise.
Ora nella sede di Wolfsburg le bandiere sventolano a mezz’asta per il lutto. Proprio in un momento decisivo per le aziende che Piëch ha messo insieme e fatto crescere. La strada verso la trazione elettrica sembra ormai tracciata, ma il futuro è incerto e denso di incognite. Dopo Sergio Marchionne, Carlos Goshn, Rupert Stadler, uno dei suoi delfini, lascia il campo il numero uno, Ferdinand Piëch, l’uomo che qualcun ha definito l’Alfa del settore automotive la cui evoluzione per lui che si emozionava davanti a un dodici cilindri era ormai quasi impossibile da comprendere e inaccettabile.