I dipendenti di un supermercato della provincia di Livorno hanno donato le loro ore di ferie ad una collega che aveva finito tutte quelle previste dal suo contratto per assistere la figlia malata di una patologia tumorale ai polmoni. La bambina di 9 mesi è ricoverata presso l’ospedale pediatrico Meyer di Firenze, per cui la donna era stata costretta a trasferirsi e di conseguenza ad assentarsi da lavoro. Di fronte a ciò, come riportato da Ansa, i colleghi di due punti vendita non hanno esitato a compiere un gesto di solidarietà, privandosi dei loro permessi.



In totale sono 600 le ore donate, che per ancora qualche mese le permetteranno di stare vicino alla piccola mentre viene sottoposta alla terapia d’impatto di cui necessita. In questi momenti la famiglia abita in un immobile messo a disposizione dalla Fondazione Tommasino Bacciotti. La onlus si occupa proprio di dare supporto ai caregiver di pazienti che devono restare lunghi periodi in una città dove il mercato immobiliare è oneroso. Le loro condizioni economiche, data la situazione, restano tuttavia precarie. Il marito infatti è rimasto disoccupato dopo che il suo contratto è scaduto e non è stato rinnovato.



Ferie finite per assistere figlia malata, colleghi donano loro ore: la denuncia della mamma

La mamma che ha finito le ferie per assistere la figlia malata, ricevendo in dono quelle dei colleghi, adesso rimane l’unica ad avere un’entrata economica in famiglia, seppure per molti giorni al mese non abbia la possibilità di recarsi a lavoro. È per questo motivo che, oltre a ringraziare i dipendenti dei due supermercati che l’hanno aiutata e i titolari che hanno permesso ciò, ha rivolto un appello alla politica.

“Lo Stato non offre nessun tipo di supporto in questi casi. I certificati per la malattia dei figli non sono retribuiti e io ho consumato ferie, permessi e altre ore arretrate cumulate. I titolari dei punti vendita mi sono venuti incontro il più possibile ma a dicembre avevo finito tutto. Ora sono coperta fino a giugno”, ha raccontato ad Ansa. Una insostenibile situazione precaria che si somma all’angoscia derivante dalle condizioni di salute drammatiche in cui si trova la bambina di 9 mesi.