Le ferie sono un diritto a cui un lavoratore non può – in un certo senso – tirarsi indietro, così come il datore di lavoro è obbligato ad accertarsi che i suoi dipendenti godano delle tanto attese e meritate vacanze.

La scadenza per pianificare le vacanze è fissata al 30 giugno di ogni anno fiscale. Se l’impiegato decida di fare a meno dei giorni di stop, sia lui che il datore di lavoro potrebbero soggetti al pagamento di tasse e sanzioni amministrative.



Ferie non godute: si rischia di pagare il “doppio”

L’Agenzia delle Entrate specifica che le ferie non godute vanno considerate come una indennità da corrispondere anche come contributi previdenziali (a carico del datore di lavoro). Il rischio di non andare in vacanza è doppio: non fermarsi per riposare la mente, e dover essere soggetti a tassazione.



Sul caso è bene informarsi con il proprio commercialista in grado di poter dare una risposta più esaustiva sull’argomento. La soluzione più conveniente – per dipendenti e datori – sarebbe quella di sfruttare delle ferie pagate e comunicarle entro il 30 giugno di ogni anno.

La Costituzione italiana è molto attenta e rigida sul diritto alle ferie, tanto che viene definito come un “diritto irrinunciabile e punibile” se non dovesse esser rispettato.

Gli unici casi in cui la Legge ammette di poter liquidare l’indennità da “vacanza” riguardano le ferie che superano il limite di Legge (oltre le quattro settimane) e la cessazione del rapporto di lavoro.



Quest’ultime casistiche – le uniche – comporterebbero l’erogazione di una “indennità sostitutiva per ferie non godute“.

Salvo le situazioni extra sopra riportate, se le ferie non vengono richieste entro la scadenza fiscale il datore di lavoro dovrà conteggiare i contributi INPS e versarli come modello F24 (con annesso pagamento di una sanzione pecuniaria).

Il periodo minimo – previsto dalla Legge – per evitare di incorrere alle multe è usufruire di almeno due delle quattro settimane di ferie come da contratto di lavoro.