L’altro ieri la Corte penale internazionale dell’Aia ha emesso mandati di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità a carico del premier israeliano Benjamin Netanyahu e per il suo da poco ex ministro Yoav Gallant. Secondo le accuse, Israele avrebbe diffusamente e sistematicamente attaccato la popolazione civile di Gaza. Chiesti altrettanti mandati anche per Ismail Haniyeh, Yahya Sinwar e Mohammed Deif, dirigenti di Hamas. I primi sono certamente morti; anche il terzo, secondo Tel Aviv. Ci sarà molto da discutere sulle basi giuridiche di simili accuse, a partire dalla possibilità di discriminare i civili dai militari senza uniformi, nella totale commistione creata da Hamas tra installazioni militari e siti civili. E senza dimenticare le infiltrazioni di terroristi e fiancheggiatori nell’agenzia Unrwa. In ogni caso, la sentenza non sembra avere effetti reali su nessun aspetto della guerra in Medio Oriente se non sul lato propagandistico, perché mette sullo stesso piano l’unica democrazia del Medio Oriente e un’organizzazione riconosciuta come terrorista che ha preso il potere lanciando dalla finestra gli oppositori politici.
Questo distorce ancor più la percezione del conflitto, perché crea la suggestione che l’azione israeliana, ancorché sproporzionata, sia alla pari con il massacro del 7 Ottobre e con tutti gli attacchi terroristici compiuti in questi anni. Si alimenta la narrazione della presunta legittima resistenza dei miliziani e dei terroristi, che vedono nel riconoscimento della loro esistenza il raggiungimento del loro obiettivo primario. Che non è sconfiggere Israele, ma sopravvivere.
Per tutta risposta, avvalorando l’inutilità e l’irrilevanza della sentenza, ieri mattina due proiettili – che dall’analisi di rottami ritrovati risulterebbero di pertinenza sciita – si sono abbattuti sulla base Unifil di Shama, nel Sud del Libano, che si trova di fatto in mezzo al fuoco incrociato delle forze belligeranti. Quattro caschi blu italiani sono stati colpiti da schegge di vetro ed uno è stato ferito leggermente. I militari erano in un bunker e sono stati colpiti dai vetri rotti dall’esplosione. Gli italiani in missione sono un migliaio, il secondo contingente dopo l’Indonesia.
Il governo italiano per bocca dei ministri interessati e le forze di maggioranza hanno espresso la massima indignazione e l’auspicio di rapide indagini per chiarire le responsabilità dei fatti. Le basi e i posti di osservazione erano già stati bersagliati in tempi recenti da parte degli israeliani, che hanno anche accecato le telecamere e abbattuto torri di osservazione adducendo che fossero in uso ai miliziani. Anche i miliziani sciiti hanno colpito le basi Unifil dopo che è stato accertato l’accumulo di armi libanesi nelle vicinanze delle installazioni, ma non hanno mai addotto motivazioni alle loro azioni neanche dopo le presunte voci di una supposta sudditanza delle forze Onu nei confronti delle milizie irregolari che avrebbero invece dovuto smantellare. In particolare il 19 novembre scorso, quando otto razzi sciiti si sono abbattuti sulla stessa base di Shama. Nell’occasione non vi sono stati feriti ed a fare le spese dei lanci è stato un deposito di autoricambi.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha confermato che a colpire una base militare Unifil nel Sud del Libano sarebbero stati due razzi lanciati da Hezbollah.
Da ultimo sarebbe da valutare anche l’operatività e l’efficacia della missione Unifil, che ha bisogno di regole di ingaggio e protocolli di intervento all’altezza della situazione. Il rispetto e la considerazione verso l’Onu passano anche per la deterrenza dei caschi blu, perché i blindati bianchi in giro per il mondo non siano come le auto dei vigili, vuote, parcheggiate agli incroci stradali.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI